Rimozioni

caloChi amasse Franz Kafka dovrebbe pure temerlo. In un convegno assai risalente, con la partecipazione di Anthony T. Kronman e di Pietro Rescigno, richiamai il rapporto fra le leggi ignote del Processo e il Führerprinzip, hitleriano; quasi una premonizione, purtroppo. Anche gli Accordi di Oslo rimandano a Kafka, tant’è che la loro lettura è resa spiacevole dal senso di mestizia provocato dallo scarto fra le intenzioni e gli ulteriori riscontri. È difficile rimuovere le parole di Giacomo Debenedetti: “contrariamente all’opinione diffusa, gli ebrei non sono diffidenti. Per meglio dire: sono diffidenti, allo stesso modo che sono astuti, nelle cose piccole, ma creduli e disastrosamente ingenui in quelle grandi” (16 Ottobre 1943, Torino, ed. 2001, p. 7, prima pubblicazione nel dicembre 1944). La base di Oslo è costituita dalla Dichiarazione dei princìpi, dove si fissa lo scopo di stabilire nella West Bank e Gaza un autogoverno palestinese provvisorio costituito da un Consiglio eletto, per un periodo di non oltre un quinquennio, che conduca ad un assetto permanente basato sulle Risoluzioni ONU 242 e 338. Delle due l’una: o il quadro ivi delineato era troppo generico – e quindi inutile- oppure era sufficientemente preciso da portare ad un trattato di pace fatto di procedure e itinerari cogenti. Naturalmente, è vera soltanto la prima proposizione, perché negli articoli seguenti si annunciano dei negoziati su Gerusalemme, rifugiati, insediamenti, sicurezza, frontiere e così via: il nulla come oggetto del contratto. Non male.
Sono trascorsi tanti anni, contrassegnati da lunghe scie di sangue e dalla presenza dei c.d. insediamenti, isole ebraiche nel mare di maggioranze non ebraiche, nella direzione opposta rispetto al sionismo, che voleva uno Stato ebraico, come dal titolo del famoso libro di Teodoro Herzl (Der Judenstaat), e non dei territori in cui gli ebrei fossero minoranza (vedi E. Calò, Moked, Time is on my side? 28.2.2017). Ciò non toglie che si tratti di territori storicamente ebraici, tant’è che le operazioni poste in atto per cancellarne le tracce, a spese addirittura del Muro del Pianto e delle Tombe dei Patriarchi, ne sono l’indiretta conferma. Beninteso, serve un compromesso, ma di lì a dire che le pretese delle parti siano tutte campate in aria, ce ne vuole.
La posizione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, nelle trattative di pace, di rifiuto senza controproposte, sembrerebbe la trasposizione di una sua diversità ontologica, che traspare dalla comparazione fra le norme fondamentali israeliane e quelle palestinesi. Chi volesse approfondire l’argomento, potrebbe utilmente attingere dalle rispettive norme fondative una precisa mappa del rispettivo fine ultimo, onde verificare le rispettive compatibilità, visto che il diritto è qualche cosa di più di un test di Rorschach.
In questo contesto, non sono di aiuto coloro i quali, attribuendo la colpa di tutto soltanto ad Israele, concorrono a tracciarne un quadro irreale. Come si spiega? Anche qui soccorre Debenedetti (ibidem): “…trattati come cani, gli ebrei hanno un disperato bisogno di simpatia umana”: e quale gesto migliore per attirare la simpatia che quello di attribuirsi la colpa di tutto?
Sullo sfondo, aleggia una rimozione collettiva, che porta obiettivamente a spostare nelle aree protette della mente i rischi di sterminio e le incompatibilità fra democrazia e dittatura, per sostituirli con un linguaggio politico trasognato e quindi contraddittorio. Molto umano, se non fosse che noi abbiamo bisogno di pace in Medio Oriente fra Stato ebraico e Stato arabo, la cui specularità identitaria potrebbe essere di reciproco ausilio.
IV
Dopo che tre arabi israeliani hanno ucciso due guardie druse israeliane presso la Spianata delle Moschee, il governo israeliano ha deciso di installare dei metal detector all’ingresso, scatenando l’inizio di un’eventuale (?) intifada globale, il cui antipasto è stato l’assassinio di tre ebrei che festeggiavano lo Shabbath in un insediamento nella West Bank. Qui, ancora, molti schemi sono saltati, perché l’aggressione l’hanno fatta dei cittadini israeliani (arabi), le vittime non erano ebrei, ma anch’essi israeliani (drusi), e qui l’occupazione non svolgeva alcun ruolo (ma questo non la rende insignificante nel contesto globale, anzi). Infine, come abbiamo scritto a più riprese, si è ignorato il ruolo degli arabi, con la sola variante che stavolta l’ha fatto Netanyahu e non la sinistra ebraica. Prima di far installare i metal detector avrebbe dovuto consultare il Waqf. Evidentemente non si è arrivati a capire che nel pianeta Terra non importa chi ha ragione, e questo lo aveva insegnato (anche) il giurista Hans Kelsen, ma evidentemente pochi o nessuno l’hanno capito. A Roma il popolino dice che la ragione è dei fessi: anche per quello il voto di un intellettuale vale quanto quello di uno che non ha studiato.

Emanuele Calò, giurista

(25 luglio 2017)