sogno…
È significativo che nel brano dei profeti che leggiamo lo Shabbat prima del digiuno del 9 di Av (Isaia 1: 1-27), il terribile giorno che ricorda le due distruzioni del Tempio di Gerusalemme così come l’esilio dalla Spagna nel 1492, il profeta non lamenta mai la distruzione del Tempio, Bet HaMikdash. Isaia si concentra sulle cause che sono state alla base della distruzione del Tempio stesso, quasi come se analizzasse il tragico momento storico e insegnasse a noi una lezione per il futuro. Durante il 9 di Av la questione del dolore e della sofferenza nazionale non sono il motivo per il quale digiuniamo: la responsabilità per gli atti compiuti che sono stati la causa di quelle sofferenze sono il motivo e il dramma del nostro digiuno.
Vivere digiunando quel giorno di lutto significa comprendere e accettare le nostre responsabilità singole e collettive, significa comprendere che il mondo non è diviso in nemici e amici, ma che noi abbiamo il potere di cambiare il mondo, di cambiare il nostro posto in esso, di portare bene, di fare bene e di costruire, anziché distruggere o ricordare passivamente una distruzione. Le mura del Tempio distrutto sono un richiamo ad una nuova necessità di costruzione ebraica, ad un ripensamento e rinnovamento del nostro essere ebrei e dell’importanza che diamo alla nostra cultura ed identità che non può essere una semplice conservazione e difesa di ataviche mura storiche, bensì ripresa energica di futuro che si costruisca più forte su quelle stesse mura.
Forse per questo motivo la haftara’ in questione si apre con la parola: “Hazon, Visione di Isaia figlio di Amoz”, lì dove hazon può anche voler dire sogno, perché un ebreo ha il dovere di sognare costruendo il mondo migliore che è chiamato a rendere reale.
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
(28 luglio 2017)