Viva Maria
Risale al 25 luglio scorso la notizia, riportata dal Corriere fiorentino, dell’approvazione da parte del Consiglio comunale di Arezzo di una dibattuta mozione per intitolare, di nuovo come già a seguito delle commemorazioni del duecentesimo anniversario, un luogo cittadino al “Viva Maria”. Tale dicitura non sarà menzionata esplicitamente, per carità (come già dopo le polemiche successive all’intitolazione della piazza prospiciente la casa di Petrarca al Viva Maria nel 2001, e sostituita con il più rassicurante nome di “Piazza Madonna del Conforto” nel 2007: Madonna la quale già avrebbe dovuto appunto consolare i rivoltosi che la invocavano nel 1799).
Così forse smetteranno di indignarsi quei fastidiosi rappresentanti delle comunità ebraiche (ultimi, la Presidente UCEI Noemi di Segni e il Presidente della Comunità di Firenze Dario Bedarida): nessun riferimento che possa essere considerato provocatorio; si parlerà più genericamente di “insorgenza aretina anti giacobina del 6 maggio 1799”.
Il consigliere della Lega Nord che ha ripescato questa vecchia affezione locale, Egiziano Andreani, chiama in campo la necessità di preservare “le radici storiche di un popolo”, e dal testo dell’articolo leggo con soddisfazione che anche dal centro sinistra (continuiamo a nominare una sinistra che non esiste) si elabora un arzigogolato sofisma in base al quale dovremmo comunque stare tranquilli, perché non si trattava di un’insorgenza anti napoleonica, tecnicamente, dato che nel maggio del 1799 Napoleone era ancora in Egitto, e quindi è stato un moto anti francese. Cui prodest?
Sul Viva Maria avevo già speso qualche parola in questa stessa rubrica quasi due anni fa, trattando di un episodio il quale, nelle parole del sopra menzionato consigliere della Lega Nord, non è da imputarsi a responsabilità aretine: l’uccisione ed il rogo in piazza del Campo a Siena di tredici cittadini ebrei della locale comunità, tra cui anziani, bambini e donne in gravidanza, al culmine della ribellione anti francese divenuta presto anche anti ebraica, sobillata dal clero locale in diverse parti della Toscana (e a Siena come altrove i francesi avevano aperto i cancelli del ghetto, abolito i titoli nobiliari ed il tribunale ecclesiastico e sequestrato beni di chiese e monasteri per sovvenzionare il vettovagliamento dei soldati).
Tra metà e fine aprile del 1799, scagliandosi contro riforme, caro viveri, ebrei e giansenisti il popolo urbano e rurale partito da Arezzo abbatte i simboli francesi e sobilla rivolte a Firenze, Pistoia, nel Valdarno superiore e poi inferiore, arrivando in Valdichiana al grido di “Viva Maria”. La comunità ebraica di Monte San Savino viene malmenata e cacciata definitivamente con un bando del 18 luglio 1799 e mai farà ritorno, dispersa tra Firenze e Siena. A Siena era giunto, dopo le violenze a danno di alcuni ebrei il 12 giugno, tra gli altri, Gabriello Modigliani, il cui bambino, Graziadio, sarà una delle vittime dell’eccidio del 28 giugno.
Gli ebrei senesi vengono accusati di aver favorito gli occupanti francesi, ma diversamente dagli altri luoghi in cui la furia popolare colpisce, insieme a filo francesi ed anti clericali anche i cittadini ebrei con botte e arresti, a Siena il fanatismo di quell’accozzaglia invasata non si limita a devastare il ghetto e la sinagoga, ma si sfoga su tredici persone trucidate in ghetto e altrove (compresa la soglia delle chiese di Provenzano e di San Martino) ed in parte buttate nel rogo destinato a bruciare l’Albero della libertà francese. Qualcuno è bruciato semivivo; alcuni cadaveri vengono abbandonati per giorni nella Piazza del Mercato Vecchio subito fuori il ghetto.
Alta è la partecipazione di parte del clero locale un po’ ovunque, diverso l’atteggiamento delle autorità ecclesiastiche: l’arcivescovo fiorentino Martini, pur essendo anti francese, si muove per sedare i facinorosi, così come a Pistoia è il vescovo Falchi Picchinesi, profondamente conservatore e diffidente verso la Rivoluzione (come emerge dall’epistolario con Benedetto Lisci tra il 1792 ed il 1797) a sedare la rivolta anti francese – l’arcivescovo senese Zondadari rimane invece silente a guardare sino a massacro avvenuto.
Ma chi erano i partecipanti al Viva Maria, che secondo l’assessore leghista aretino rappresenterebbe le radici storiche locali? Un esercito di circa seimila reazionari provenienti dalle fila di contadini ignoranti e superstiziosi esacerbati dalla fame, delinquenti comuni usciti dalle carceri, malfattori locali i quali, come scrive Patrizia Turrini in La Comunità ebraica di Siena. I documenti dell’Archivio di Stato dal Medioevo alla Restaurazione (Pascal Editrice 2008, p. 107), colsero il pretesto della sommossa per regolare vecchi conti in sospeso, membri del clero locale (che pure si era in parte orientato in senso filo francese). Diversi e difformi sono quindi gli animi che animano l’insorgenza; per quanto concerne gli aretini, un peso enorme ha il fervore religioso popolare dopo il presunto miracolo della Madonna del Conforto durante il terremoto del febbraio 1796, cementato da sommosse che già da dieci anni percorrono la Valdichiana per il rincaro dei prezzi di farina e pane, e dalla diffidenza per l’occupante francese visto come prevaricatore della Chiesa e delle tradizioni e pronto ad esigere esosi tributi. In settembre, dopo che gli aretini sono giunti a Perugia muovendosi alla volta di Roma, il senato fiorentino ordina il disarmo degli insorgenti e pone un presidio austriaco al controllo di Arezzo; i combattenti che dopo quattro mesi tornano a casa non trovano una situazione economica migliore di quella che avevano lasciato ed i tumulti popolati continuano, sino al ritorno francese un anno dopo: l’insorgenza non ha migliorato le condizioni di vita del popolo.
Eppure tutto questo viene evocato nostalgicamente con la locuzione di “radici storiche di un popolo”, peraltro assolto dal giudizio politico aretino odierno da responsabilità alcuna nei fatti senesi. Chi ne fu dunque responsabile? Nel primo pomeriggio del 28 giugno 1799 arriva da sud una ventina di combattenti aretini guidati dal nobile capitano della truppa aretina Giovanni Natti e seguiti da alcune centinaia di uomini racimolati tra la Valdichiana e la Valdorcia; dall’interno diversi popolani senesi aprono porta Romana lasciando entrare in città gli insorgenti aretini ed unendosi a loro nella caccia al francese e nella devastazione del ghetto. A massacro avvenuto, arrivano nella notte i reparti aretini che occupano la città; quanto razziato in ghetto viene portato ad Arezzo come bottino di guerra per ordine del Comandante in capo dell’armata austro-aretina Carlo Schneider, il quale non contento chiede anche un esoso ‘contributo’ economico alla comunità ebraica senese pena l’incendio del ghetto.
Vi furono diversi senesi che si unirono agli aretini nelle violenze, forse non aspettavano altro (plausibile, come a Monte San Savino), ma diverse testimonianze concordano sull’arrivo in ghetto “degli aretini armati, e dei senesi” (come nelle parole di Graziadio di Samuele Orefici) o di “aretini si incamminavano alla volta del ghetto” o “cosavano un uscio colle accettate per aprirlo” (Lorenzo Regoli, deposizione al Capitano di Giustizia conservata presso l’Archivio di Stato di Siena e riportata in Santino Gallorini, che pure difende sostanzialmente ‘insorgenza aretina: “Viva Maria” e Nazione Ebrea. I fatti di Monte San Savino e Siena, Calosci 2009, p. 125).
Vero è che diversi responsabili degli assassini e delle ruberie hanno un nome, spesso identificabile con i vicini di casa senesi non ebrei, ma difficile è affermare che ai ‘fatti senesi’, espressione neutra che indica l’assassinio violento di diversi cittadini ebrei anche presso luoghi religiosi non solo ebraici ma anche cristiani, gli aretini fossero estranei.
E se anche la piazzetta di Arezzo non fosse intitolata al Viva Maria, ed ammettessimo pure che gli aretini non ebbero parte alle violenze nel ghetto senese (cosa che invero non è), quali benefici portò l’insorgenza intitolata alla Madonna del Conforto? Infine, qualsiasi tradizione popolare (o presunta tale) è da difendere e valorizzare anche quando fanatica ed intollerante? Così è, se vi pare.
Sara Valentina Di Palma
(3 agosto 2017)