numeri…

Le Comunità ebraiche italiane, come molte altre della diaspora, si ritrovano sempre più attanagliate dall’assillo del progressivo decremento demografico. In effetti le previsioni statistiche non sono affatto rassicuranti e per alcune comunità il destino di estinguersi sembra ormai ineluttabile. Eppure nello scorso Shabbat abbiamo letto nella Torà “… non perché siete i più numerosi di tutti gli altri popoli vi ha scelto l’Eterno ma, piuttosto, perché siete i meno numerosi di tutti…” ( Devarim, 7; 7). La piccolezza a cui la Torà si riferisce in questo passaggio non è solo un dato numerico ma soprattutto etico e comportamentale. Si tratta di un richiamo per evitare smanie di grandezza, e di un invito a diffidare da politiche populiste che perseguono “aperture irriflesse”, per le quali le Comunità dovrebbero imbarcare quante più persone per rimpolpare le magre liste dei suoi iscritti. Il ghiùr non può e non dovrebbe mai costituire una soluzione al problema demografico. Si rischierebbe, in tal modo, di adottare una modalità surrettizia di quel colonialismo culturale, tipico di altre religioni, e di mettere in atto forme di abuso manipolatorio di quelle coscienze alla ricerca di una identità e di una collocazione che talvolta poco ha a che fare con un adesione sostanziale a un progetto di vita ebraica.
In questi giorni in Trentino, dove si sta svolgendo la consueta vacanza estiva organizzata dall’Ucei, c’è una comunità di 140 ebrei provenienti da varie città, e non solo italiane. Il tempo è scandito da un’intensa vita ebraica caratterizzata dalle tre tefillòt quotidiane, dallo studio e dall’insegnamento della Torà a persone di ogni età, dalla tzedakà, dalla assistenza agli anziani, dalla condivisione dello Shabbat, dei pasti kasher e della birkat hamazòn, etc… Il numero dei partecipanti a questa vacanza è pressoché lo stesso di quello di una piccola comunità, come molte in Italia, dove purtroppo non si è più in grado di assicurare questi servizi essenziali. Qualcuno potrà obiettare che vi è una differenza tra una comunità estemporanea che si trova in vacanza e una comunità stanziale in cui i suoi membri devono affrontare le difficoltà e i ritmi frenetici della vita quotidiana. Si tratta, invece, di un’esperienza che costituisce una prova tangibile come per vivere un modello autentico di comunità ebraica non è necessario essere tanti e neppure tutti uguali. Si tratta piuttosto di un’offerta di un modello e di un progetto da condividere, intorno al quale si operano precise scelte, per scandire con coerenza il proprio ritmo di vita quotidiano. È sufficiente un “Miniàn” per fare una Comunità e non è detto da nessuna parte che questo “quorum” di dieci membri debba necessariamente essere costituito da tutte “brave persone”. Con buona pace di coloro che, spesso, un pò strumentalmente, accusano una certa leadership di aspirare a una Comunità fatta da “pochi ma buoni”, non bisogna mai dimenticare che 9 “osservanti”non possono recitare il Kaddish, ma 10 “non osservanti” costituiscono un “Miniàn”…

Roberto Della Rocca, rabbino

(8 agosto 2017)