…Charlottesville
Charlottesville non è soltanto il caso sporadico di una città che ospita un gruppuscolo di bianchi razzisti nella Virginia del Profondo Sud. Charlottesville è un altro dei molti episodi di razzismo che stanno segnando l’America da quando Trump ne è diventato il Presidente. Sembra che anche gli ebrei ora se ne stiano accorgendo con consapevolezza sempre maggiore. E c’è poco da sottovalutare. I tempi sono cambiati. Trump è stato, in questa come in altre occasioni simili, assai timido contro le manifestazioni di razzismo e di antisemitismo, come se facesse di tutto per non vederne la gravità. Non è difficile pensare allora che razzismo e antisemitismo siano nelle sue corde, e non è difficile supporre che siano anzi parte della sua strategia politica. I suprematisti di Charlottesville sono la lunga mano del ‘Potere bianco’ rappresentato da Trump in modo così convincente. E non fanno certo bene all’America né all’ideale del melting pot. La politica di Trump parla di esclusione, e non più di inclusione come da antica e gloriosa tradizione americana. Trump sta tradendo anche le aspettative di coloro che l’hanno votato.
E poco importa che abbia promesso di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme. Una promessa disattesa, naturalmente, come ogni disincantato avrebbe potuto facilmente aspettarsi. Ci si rammarica per i molti che gli avevano dato fiducia, i molti che non avevano voluto tener conto delle conseguenze insite in una politica arrogante che chiude le porte del paese e rinfocola i contrasti, e interrompe il dialogo. Forse non è ancora troppo tardi per aprire gli occhi. Si spera lo facciano presto gli americani.
Alla fine, non è affatto consolante che la realtà confermi così spesso le tesi del pessimismo.
Dario Calimani, Università Ca’ Foscari Venezia
(15 agosto 2017)