Persecutori e perseguitati:
il versante economico
Un recente lavoro di un professore italiano dell’Università Pompeu Fabra (Luigi Pascali, Banks and development: Jewish communities in the Italian renaissance and current economic performance, Review of Economics and Statistics, 98(1), 2016 pp. 140-158) affronta l’impegnativa tematica dell’incidenza dell’ebraismo italiano sull’economia nazionale ma certamente, non si propone quale chiave di volta dell’universo, limitandosi a proporre dati ed ipotesi, insomma, è un valido contributo, recensito anche dall’Economist, ma si potrebbe sostenere che non esaurisca l’argomento.
L’autore sostiene che la demografia ebraica ebbe ad esercitare, nel primo Rinascimento, un’influenza sostanziale nello sviluppo dei mercati creditizi locali. Le sue tesi hanno queste basi: 1) gli ebrei giunsero a Roma durante l’Impero Romano, per via della deportazione di massa seguita alla vittoria sui ribelli ebrei. Per secoli, fu loro precluso il raggiungimento di una posizione rilevante sociale ed economica. Tuttavia, alla fine del quattordicesimo secolo, la Chiesa vietò ai cattolici il mutuo con interesse, ma lo permise agli ebrei; 2) le città che ospitarono delle comunità ebraiche svilupparono mercati complessi del credito, perché : a) gli ebrei si specializzarono nel settore, b) la propaganda francescana contro l’usura portò alla creazione dei Monti di Pietà, c) mentre i banchi di pegno degli ebrei sparivano, i Monti sono arrivati fino ai giorni nostri.
Fra il 1504 e il 1541, gli ebrei furono espulsi da Napoli, potendo farvi ritorno soltanto tre secoli dopo. In quelle aree, le città che ospitarono delle comunità ebraiche avrebbero un PIL più elevato.
I francescani istituirono fra il 1470 e il 1570 dei Monti di Pietà nell’Italia centrale e settentrionale. Tuttavia, non avrebbero avuto una base solida, dovendo dipendere dalla carità per operare e la mancanza di profitto le rendeva poco efficienti. Per sopperirvi, si tassavano gli ebrei e si ricorreva al loro know how.
Sempre secondo la nostra lettura da profani, dai calcoli più prudenti si evincerebbe che, se gli ebrei non fossero stati espulsi dai territori dominati dagli spagnoli, il Pil del meridione italiano sarebbe stato superiore del 7%. Tale espulsione spiegherebbe, secondo Pascali, almeno il 10% del gap nel reddito fra meridione e settentrione. Invece, le città nelle quali le comunità ebraiche locali si erano insediate nel 1500 ebbero un precoce sviluppo del settore bancario sarebbero quelle in cui vi sono ora più banche e, in definitiva, quelle più sviluppate.
Lasciamo agli economisti il compito di esprimersi al riguardo; dal canto nostro possiamo soltanto rilevare l’incidenza del caso nella storia, perché l’attività economica degli ebrei non è stata decisa da loro, ma dalla mappa delle attività disegnata dalla Chiesa. Tant’è che, contrariamente ai diffusi pregiudizi antisemiti, il numero dei Premi Nobel assegnati agli ebrei nelle discipline economiche è assolutamente minoritario rispetto ad altre discipline; d’altronde, chi è razzista non si interessa alla realtà perché troppo impegnato a odiare. Semplificando, possiamo ipotizzare, da estranei all’economia, che il quadro tracciato dal suddetto Autore riguardi il noto rapporto fra accesso al credito e sviluppo, sul quale vi è l’opera divulgativa di Hernando De Soto (Il mistero del capitale) il quale traccia un parallelo fra efficienza degli strumenti giuridici e crescita economica (vedi Emanuele Calò, Il “mistero” del notariato in Notariato, 2002, fasc. 5, pp. 524-52),
Discorriamo di (sola) economia; a noi interessa però rilevare come le persecuzioni sovente colpiscano anche i persecutori. Ma non è una grande consolazione.
Emanuele Calò, giurista
(15 agosto 2017)