Studiando Bonaventura
C’è un solo modo per salvare l’università in Italia. Immergersi per intero nel lavoro che si fa con gli studenti con un atto intenzionale che ha come scopo la conquista di una reciprocità e come obiettivo una trascendenza. Come sottolineava il mio amico Feuerstein, ciò che si apprende nell’hic et nunc deve potersi estendere a scopi più ampi e acquistare un significato per chi insegna e per chi apprende.
Iniziando il mio corso di psicologia nello scorso anno accademico per gli studenti della specialistica, ho tenuto una lezione sulla figura e sull’opera di Enzo Bonaventura. Una figura tragica della storia della psicologia italiana. Psicologo sperimentalista e pioniere della psicoanalisi, espulso dall’Università di Firenze in seguito alle Leggi razziali del 1938.
Ho parlato per tre ore di seguito, senza nemmeno una breve pausa per il caffè. La lezione è cominciata alle 15. Alle 18.10 avevamo cominciato a discutere su come approfondire i singoli temi toccati nel prossimo incontro.
Nessuno che si fosse alzato, o avesse dato segni di stanchezza. Solo cinque persone, scusandosi prima della lezione, erano dovuti andare via alle 16 perché impegnati con uno stage obbligatorio. Scusandosi, avevano delegato uno di loro a restare per prendere appunti.
Di questo non posso che essere grato ai miei studenti.
David Meghnagi, Università Roma Tre
(16 agosto 2017)