Le sofferenze altrui

Anna Segre“Amerete lo straniero perché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto.” “Non opprimere lo straniero; voi conoscete l’animo dello straniero, giacché siete stati stranieri nel paese d’Egitto.” A quanto pare, la prima a fare paragoni inappropriati è proprio la Torah. Come si può mettere sullo stesso piano il trattamento riservato agli stranieri nella terra di Israele con la schiavitù d’Egitto? Come si può paragonare lo stato d’animo di un ebreo che aveva visto i propri figli gettati nel Nilo e la cui vita era stata amareggiata da un potere che deliberatamente ambiva a distruggere il popolo ebraico con quello di un immigrato per motivi economici (difficile pensare che allora gli stranieri in terra d’Israele potessero essere altro) in un paese civile e tutto sommato accogliente? O dobbiamo credere che la Torah abbia una tale sfiducia nella nostra capacità di costruire una società giusta da paragonarci addirittura al Faraone?
Forse la Torah vuole insegnarci proprio a non usare i paragoni impossibili come pretesto per chiudere gli occhi e fingere di non vedere: se ciò che gli ebrei hanno subito è peggio di ciò che chiunque ha mai subito o potrebbe mai subire questo dovrebbe autorizzarci a ignorare le sofferenze altrui? Del resto conoscere lo stato d’animo di una persona non significa necessariamente identificarsi in tutto e per tutto con quella persona e con ciò che ha vissuto. Ovvio che sarebbe un’impresa impossibile. Ogni storia è diversa, e anche le nostre storie non sono paragonabili le une alle altre. Eppure anche in un quadro d’insieme del tutto differente elementi isolati possono essere simili: famiglie costrette a lasciare la propria casa, fughe, immigrazioni illegali, ecc. Forse la Torah ci invita a guardare con attenzione a quelle somiglianze non per ignorare o dimenticare le differenze ma perché quelle somiglianze ci aiutino a trovare in noi stessi la capacità di mettere meglio a fuoco le sofferenze altrui.

Anna Segre

(18 agosto 2017)