“Trump, dietrofront pericoloso”
Caro Presidente Trump,
Mi sono rivolto a Lei lunedì scorso, chiedendole di rivedere la frase pronunciata a ridosso dei tragici eventi di Charlottesville – “da molti fronti” – frase scelta con malaugurata leggerezza.
Poco tempo dopo – e sono certo che ciò non abbia avuto nulla a vedere con la mia richiesta – Lei ha fatto proprio questo, o perlomeno è sembrato così. Ho pensato che la Sua nuova posizione su Charlottesville potesse essere in qualche modo priva di passione e di sentimenti autentici, ma si trattava almeno di un passo nella giusta direzione, seppur intrapreso con un certo ritardo.
Neanche ventiquattr’ore più tardi, Lei ha fatto di nuovo dietrofront, vanificando le Sue dichiarazioni di lunedì scorso. Anzi, i Suoi ultimi commenti hanno provocato – giustamente – indignazione e sgomento sia tra la popolazione in genere che tra i membri del Partito Repubblicano.
Quando ero docente esterno di un corso sulla politica della memoria, chiesi ai miei studenti quali fossero le tutele più importanti contro la violenza, l’odio e l’intolleranza.
La prima risposta fu il tono e le parole della leadership politica, a cominciare dai livelli più alti. Fu menzionato anche il ruolo dei leader religiosi e della società civile, i media, la scuola e ovviamente la famiglia, ma si ritornava sempre a parlare della prima categoria, citando esempi negativi e positivi nella Storia.
È un peccato che il messaggio ineluttabile che proviene dalle Sue parole di martedì servirà solo ad infiammare i sentimenti di questa nazione, ad aumentare il divario tra gli americani, a convincere molti che Lei pensa davvero che ci possa essere una equivalenza morale tra i nazionalisti bianchi, i neo-nazisti e i membri del Ku Klux Klan da un lato, e tra chi vi si oppone dall’altro.
Signor Presidente, non c’è equivalenza morale alcuna ne può mai esserci – non quando una fazione sceglie di celebrare la Confederazione, razzista e secessionista, intonando slogan come “gli ebrei non ci sostituiranno”, mentre dall’altro lato si ergono voci a difesa dell’inclusione e della diversità; quando una fazione sceglie la violenza, l’omicidio di una giovane donna e il ferimento di altre 19, mentre l’altro lato ne è il bersaglio.
Il ruolo da Lei ricoperto è al vertice della nostra democrazia: dovrebbe essere il nostro leader morale e una forza per l’unione. Tristemente, Lei ha deciso di abdicare ad entrambi i ruoli. I Suoi commenti di sabato e di martedì lo hanno reso dolorosamente chiaro, per non parlare dei cinque giorni che sono passati senza che Lei abbia visitato la famiglia di Heather Heyer, e la Sua assenza al suo funerale.
So bene che l’odio in questo Paese non è nato dalla Sua presidenza. Anzi, già negli anni novanta l’American Jewish Committee lanciava una campagna nazionale dal tema “Nessuno nasce odiando”.
Acquistammo molti spazi pubblicitari sui quotidiani, costruendo coalizioni contro la violenza che nasce dell’intolleranza.
Le cito un stralcio della nostra dichiarazione apparsa sul New York Times il 29 agosto 1999:
“Ora basta. L’odio si sta espandendo con conseguenze fatali. Ha colpito nell’Illinois e in Indiana durante il fine settimana, mentre festeggiavamo l’Indipendenza. Tra le vittime afro-americani, asiatici americani, ed ebrei. Hanno colpito un centro della comunità ebraica a Los Angeles, ferendo cinque ebrei tra cui dei bambini, e uccidendo un postino delle Filippine… Bisogna agire subito. Il Congresso deve formare una commissione d’inchiesta che indaghi sui gruppi che predicano odio e glorificano la violenza… I fomentatori dell’odio devono essere combattuti con l’educazione, con le leggi e con la volontà politica.”
Quindi, è chiaro che non si tratta di un fenomeno nuovo dei nostri giorni, ma quel che è nuovo è la reazione ritardataria, esitante e contraddittoria del leader della nazione, proprio quando c’è un disperato bisogno di parole che vadano nella direzione opposta.
Vorrei aggiungere che quelle commissioni d’inchiesta sono di nuovo necessarie, con la massima urgenza.
Capisco anche che la violenza e l’intimidazione non sono strumenti esclusivi dell’estrema destra, ma sono stati usati anche dall’estrema sinistra. Io provengo da una famiglia che ha subito l’impatto di entrambi gli estremismi in Europa, e non ne ignoro uno a scapito dell’altro.
Ma nel caso di Charlottesville, a differenza di quello che è accaduto in un campo da baseball in Virginia o all’Università di Berkeley, qui non si tratta dell’estrema sinistra, con i suoi elementi violenti, ma si tratta di coloro che vorrebbero tenerci separati in base all’identità razziale, creare una gerarchia tra noi, prendere il Terzo Reich ad esempio di come vanno trattati gli ebrei, cosa che presumo, interesserebbe la Sua famiglia tanto quanto la mia.
Signor Presidente, trovare una strada che riduca le differenze e crei maggior coesione tra noi potrebbe sembrare ormai una cosa impossibile per molti americani. Eppure di certo sino a quando Lei siederà nell’Ufficio Ovale questo è uno dei Suoi obblighi principali, assieme alla nostra sicurezza nazionale.
Per il bene di tutti, posso solo sperare che persone sagge e determinate a portarci in quella direzione abbiano la meglio nelle settimane e nei mesi a venire. La posta in gioco per la nazione non potrebbe essere più alta.
David Harris, CEO dell’American Jewish Committee
(21 agosto 2017)