Alberto Baumann
Alberto Baumann (1933-2014). È stato giornalista, scrittore, pittore e scultore. Con la moglie Eva Fischer, condivise l’esperienza della pittura. Contribuì ai primi passi del Mensile Shalom. In occasione della Giornata Europea della Cultura ebraica, alcune delle sue opere saranno esposte a Troina (Sicilia).
Ci sono persone attente alla costruzione della loro immagine. Alberto Baumann non aveva nulla di tutto questo. Era un artista di qualità, ma non faceva nulla perché la sua immagine ne venisse amplificata. Era un bravo giornalista, ma non faceva nulla perché questo aspetto della sua persona risaltasse. C’era qualcosa in lui, e la cosa mi faceva un po’ rabbia, che lo portava a “sminuire” quel che faceva. C’era in lui qualcosa che tendeva a mettere sotto tono quel che faceva. Non che non desiderasse essere amato, stimato e apprezzato. Semplicemente lasciava che fossero gli altri a scoprire quanto ne avesse bisogno. Era il suo modo di essere e di presentarsi.
Delle opere, vorrei citarne un paio: Kol Nidrei del 1989 e Vorrei morire con un sorriso per incontrare quello di mia madre, del 2000.
Con la sua possente e commovente evocazione, la recita del Kol Nidrè rappresenta insieme alla Ne’ilà (la preghiera conclusiva dopo ventiquattro ore di digiuno), uno dei grandi momenti della Tefillah di Yom Kippur. La decisione con cui sono sciolti i voti, per dare inizio alla Teshuvah, è presa all’interno dell’Assemblea celeste come in quella terrena. Vedendo l’opera, sembra quasi di trovarsi di fronte a due assemblee che dall’alto e dal basso, sospendono il giudizio. Il bianco, che è simbolo della purezza, si dirige verso l’alto. Sembra quasi di ascoltare le parole del cantore, con la potente e commovente invocazione che ha accompagnato i secoli: Bishiva shel Ma’la. Bishiva Shel Matta….
Vorrei morire con un sorriso per incontrare quello di mia madre è stato dipinto nel 2000. Vedendolo bene si ha la sensazione che vi sia contenuta la lettera ב (Bet) dell’alfabeto ebraico. La ב (bet) è la lettera con cui ha inizio il testo biblico: Bereshit Barà Elokim Et Hashamaim veet Haaretz (In principio il Signore creò il Cielo e la Terra). La ב guarda al futuro, quasi a voler suggerire all’anima ferita dell’autore del dipinto: “Non dobbiamo diventare prigionieri di quel che è stato”. Come a dire, dobbiamo aprirci un varco per rendere possibile il futuro. Fare in modo di non essere schiacciati dal passato. Renderlo pensabile in un racconto. A ricordarlo è il sorriso della madre. Un sorriso che dà forza al bambino nei suoi primi passi, rendendo tollerabili le prove della crescita, riempendo di poesia il mondo. Il cui ricordo, unito alla speranza tenuta viva dalle nuove generazioni, rende più tollerabile l’angoscia della fine.
David Meghnagi, psicoanalista, Università Roma Tre
(23 agosto 2017)