Pagine Ebraiche agosto 2017
In Bosnia c’è un futuro

Nel 2015, in occasione dei vent’anni dal genocidio di Srebrenica in Bosnia-Erzegovina, lo storico David Bidussa scriveva sul Portale dell’ebraismo italiano: “Dopo tanto tempo, tutto il mondo è a Sarajevo. Mi piacerebbe che ci fosse ancora tra un mese. Mi piacerebbe che qualcuno, avendo il ruolo e la forza morale per farlo, convocasse un qualche cosa sabato 11 luglio, a venti anni dalla corsa folle e disperata dei musulmani di Srebrenica in fuga verso la salvezza per molti di loro finita con la violazione del loro corpo, lo stupro, la morte. Lo scrivo ora, perché poi non si dica che non c’era il tempo”. Una terra, quella della Bosnia-Erzegovina, ferita e divisa da profondo odio etnico in cui si è consumato, dopo la Shoah, il peggior genocidio europeo. Un paese a maggioranza musulmana in un’Europa sempre più diffidente verso l’Islam e in cui l’integralismo islamista è una minaccia costante. Qui, nella capitale Sarajevo, la sinagoga, caso oramai raro nel Vecchio Continente, non ha veicoli della polizia o dell’esercito davanti; non ha telecamere di sicurezza; il cancello dell’antica sinagoga ashkenazita è aperto e nessuno chiede le generalità a chi entra. “Pensiamo di essere al sicuro con le porte aperti qui” racconta Jakob Finci (nell’immagine) alla giornalista Kate Bartlett, autrice di un lungo reportage proprio sulla comunità ebraica della Bosnia-Erzegovina (di cui Finci è presidente). Duemila persone che guardano con una certa fiducia al proprio futuro, immersi in una situazione che, paradossalmente vive meno tensioni di altre, almeno nei confronti degli ebrei. “Questa è una delle poche nazioni libere dall’antisemitismo” dichiara Finci, ex ambasciatore della Bosnia in Svizzera. “Sarajevo, in particolare”. Un tempo conosciuta come la Gerusalemme dei Balcani, proprio per la convivenza di diverse anime: musulmani bosniaci, serbi ortodossi e i cattolici croati. Oltre, ovviamente, agli ebrei, che fino alla Seconda Guerra mondiale erano arrivati a contare in tutto il paese una Comunità di 12mila persone e della Capitale hanno fatto per secoli parte integrante. Una città, come ricorda Bartlett, cosmopolita e crocevia tra Oriente e Occidente, governata prima dagli Ottomani poi sottomessa all’impero austro-ungarico. “Dopo 450 anni – afferma Finci – siamo ancora ben inseriti nella società bosniaca”. Un mondo in cui, sostiene l’ex ambasciatore, l’Islam radicale non ha attecchito, anzi è proprio “un intruso”. Per una terra dilaniata e violentata dal conflitto dopo la dissoluzione della Jugoslavia nei primi anni Novanta, avere gli anticorpi all’integralismo islamico non è una cosa scontata. Così come non è scontata un’altra particolarità questa volta legata solamente al mondo ebraico: in un’Europa fa sempre meno figli, nel 2015 la piccola Comunità bosniaca ha festeggiato dodici nuove nascite. Una bella differenza rispetto “alle 10 nascite negli ultimi 20 anni” afferma la segreteria generale della Comunità Elma Softic-Kaunitz al Forward. “Non c’è dubbio che qui in città ci sarà un giorno un asilo ebraico”.

Pagine Ebraiche agosto 2017

(23 agosto 2017)