Bund e sionismo

Giorgio Berruto29 agosto e 10 ottobre 1897. 120 anni fa, due date importanti da ricordare. La prima segna l’apertura del primo Congresso sionista a Basilea, la seconda la costituzione a Vilna del Bund, l’Unione generale dei lavoratori ebrei di Russia, Polonia e Lituania di cui ho scritto la settimana scorsa su queste colonne (https://moked.it/blog/2017/08/17/diritto-alla-differenza/) recensendo il bel libro di Massimo Pieri “Doikeyt. Noi stiamo qui ora!”. Sionismo e bundismo sono stati movimenti molto diversi, ma non senza affinità e analogie significative, in particolare per la riflessione sull’identità ebraica e per il ruolo attivo che hanno svolto, muovendo le masse ebraiche dell’Europa orintale. Il Bund e il Congresso sionista sono le prime organizzazioni a rivendicare in modo esplicito diritti nazionali per gli ebrei, proponendosi con forza come soggetti collettivi di storia. Entrambi sono una risposta all’antisemitismo e un’alternativa all’assimilazione, e per entrambi ebraismo è ciò che pertiene al popolo ebraico nel suo complesso: non all’osservanza e neppure alla religione, quella “fede mosaica” con cui a molti ebrei in quegli anni sembrava inevitabile e spesso anche auspicabile relegare da una parte l’ebraismo all’interno delle pareti domestiche, e nasconderlo dall’altra nello spazio pubblico; salvo poi, più tardi, accorgersi dolorosamente, come il protagonista della “Famiglia Karnowski” di Israel J. Singer, che dell’ebraismo intimo e famigliare non era rimasto niente, mentre si era additati e perseguitati come ebrei per strada.
Il Bund e i sionisti, diversamente, pongono al centro l’identità ebraica, quella di una nazione che si definisce attraverso l’appartenenza, la prassi cultuale, una storia e un patrimonio mitologico comune, un modo di pensare e di affrontare le questioni etiche, di cucinare, di vestire eccetera. Il sionismo, che nei primi decenni è nel mondo ebraico un movimento significativo ma minoritario, aggiunge l’aspirazione a salire verso la Terra d’Israele per progettare un nuovo modello di abitare e coabitare. Non a caso, sia per il Bund sia per i sionisti la scelta della lingua è fondamentale e a lungo dibattuta: a vincere la concorrenza saranno rispettivamente lo yiddish e l’ebraico, definite appunto lingue nazionali.
Ma più di ogni altra cosa è l’atteggiamento che unisce sionisti e bundisti fin dalle origini: è quello di chi si è a lungo percepito come troppo debole per far sentire la propria voce collettiva e che sente di poter entrare finalmente da protagonista nel corso della storia. In fondo, questi due movimenti davvero rivoluzionari tentano di rispondere alla domanda antica delle “Massime dei Padri” (Pirkè Avot I, 14): “Se non sono io per me, chi sarà per me? E quand’anche io pensi a me, che cosa sono io? E se non ora quando?”.

Giorgio Berruto, HaTikwà/Ugei

(24 agosto 2017)