Pagine Ebraiche agosto 2017
Il dialetto è poesia ebraica

Quante poesie dialettali inedite, impreziosite di parole ebraiche, giacciono dimenticate nelle soffitte o nelle scatole dei ricordi degli ebrei italiani? Chi rinvenisse versi dei propri avi, con queste caratteristiche, è pregato di scrivere a info@ilcubo.eu e natale@unistrasi.it, per collaborare alla pubblicazione di un’antologia che si intitolerà Poesia dialettale degli ebrei d’Italia (dall’Unità al secondo dopoguerra).
Questo curioso appello si trova sul sito dell’editore il Cubo, specializzato in dialettologia e storia della lingua italiana, ed è firmato da Sara Natale, giovane filologa, assegnista di ricerca presso l’Istituto del CNR – Opera del Vocabolario Italiano (con sede all’Accademia della Crusca), che ha recentemente partecipato al convegno “Le lingue degli ebrei. Problemi e metodi” (UCEI-Centro Bibliografico, Roma, 7-8 giugno 2017).
Con questo progetto – che l’UCEI è lieta di patrocinare e promuovere – e dunque con un’ulteriore apertura alla ricerca e alla riflessione, si chiude il tema “Le lingue e i dialetti ebraici” che, per desiderio della Presidente Noemi Di Segni, dalla già ricca Giornata Europea della Cultura Ebraica del 18 settembre 2016, è stato il filo conduttore di molte iniziative dell’UCEI durante tutto il corso dell’anno. Iniziative che hanno testimoniato la centralità della questione delle lingue per la storia, la cultura e l’identità dell’ebraismo e della sua diaspora (tema della prossima Giornata della Cultura). Non solo dalla moderna filosofia del linguaggio, ma già dagli antichi testi biblici e talmudici, apprendiamo che il linguaggio, anziché semplice strumento formale e passivo, è esso stesso generativo di pensiero, senso, realtà, azione ed etica. “Morte e vita sono in potere della lingua”, leggiamo nei Proverbi, XVIII,12; la maldicenza è, per i maestri talmudici, peccato tanto grave quanto l’idolatria (TJ, Péa, I, 1).
Oltre al convegno sopra menzionato, il Centro Bibliografico si è fatto promotore anche di quello su “Yafet nelle tende di Shem. L’ebraico in traduzione” (28-29 settembre 2016), in occasione dell’uscita del primo volume del Progetto di traduzione in italiano del Talmud babilonese, Trattato Rosh haShanà (Giuntina 2016), e della tavola rotonda sul rapporto tra parola e immagine, dal titolo “Pesach: segni e sogni di libertà”, in occasione della mostra di incisioni di Vittorio Pavoncello (6 aprile 2017). A maggio l’UCEI ha inoltre avviato due Ulpan online che seguono il programma della Hebrew University (Rothberg International School) e preparano all’esame di certificazione della stessa Università. Infine, è tuttora in esposizione presso il Liceo Renzo Levi l’edizione italiana, a cura dell’UCEI, dei pannelli sulle Lingue Ebraiche, inviati dalla National Library of Israel per una mostra al Centro Bibliografico in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Questi pannelli hanno ispirato un gruppo di studentesse del primo liceo nell’ideazione di un quiz da usare come materiale didattico per tutte le classi.
La ricerca di Sara Natale è cominciata, nel 2006, con la scoperta dei manoscritti delle Storie vecie, una raccolta di poesie in “giudeo-mantovano”, scritte da un suo avo, il medico Annibale Gallico (1876-1935), e pubblicate dalla studiosa nel 2014, per i tipi dell’Accademia Nazionale dei Lincei.

Sara Natale, è dunque dai tuoi stessi ricordi di famiglia che nasce il progetto di una raccolta e pubblicazione di inediti di poesie dialettali “giudeo-italiane”? Ci puoi raccontare come hai scoperto i manoscritti del tuo antenato e in che modo ricerca scientifica e personale si sono intrecciate?
Non li ho propriamente scoperti, se ne conosceva già l’esistenza, ma gli studiosi che mi hanno preceduto avevano pubblicato solo 6 delle 83 poesie di Annibale Gallico. Nel giugno 2006 proposi di scrivere una tesina sul dialetto degli ebrei mantovani per un corso all’Università di Pavia. Già allora lo studio e i ricordi familiari si intrecciavano: l’idea mi era venuta perché sapevo da mia madre che mio nonno, ebreo di Mantova, usava parole come sciafelenta, caserut, colomot. Nella scarsa bibliografia sull’argomento veniva ripetutamente citato, come poeta dilettante, questo Annibale Gallico che scoprii essere il fratello della mia bisnonna. Ho incontrato l’omonimo nipote, proprietario dei manoscritti, e dalla lettura dei 6400 versi alla decisione di presentare come tesi di laurea l’edizione critica e commentata di queste poesie il passo è stato breve e molto intenso l’anno che è seguito. Ho frequentato il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano e il Centro Bibliografico dell’UCEI, per conoscere il più possibile l’ebraismo mantovano e italiano tra Otto e Novecento, e ho consultato i registri anagrafici della Comunità ebraica di Mantova, per dare un nome ai personaggi delle poesie (molti dei quali uccisi nei lager). Nel 2014 la tesi è diventata un libro, per cui Cesare Segre, che aveva seguito il lavoro fin dall’inizio, ha scritto una prefazione molto sentita.

Sara Natale, che contributo darebbe la vostra antologia al complesso dibattito sulle “lingue degli ebrei”, tuttora molto vivo, come abbiamo visto nel recente convegno organizzato dall’UCEI? 
È sempre difficile, all’inizio di una ricerca, fare previsioni su quello che si troverà. Di sicuro, però, gli studiosi delle cosiddette “giudeo-lingue” o “lingue giudeo-x” o meglio ancora “lingue degli ebrei” – problematiche fin dall’etichetta con cui le si designa – avrebbero bisogno di nuovi testi, di ripartire dai testi per opporre un atteggiamento spassionatamente scientifico al tradizionale approccio ideologico a queste lingue che spesso, per un malinteso spirito identitario, unito a scarse competenze linguistiche, sono state considerate più diverse di quanto non siano mai state da quelle dei non ebrei.

Puoi spiegare meglio quando e perché si è formato questo approccio ideologico e pseudoscientifico alle lingue degli ebrei e in particolare alle parlate “giudeo-italiane”?
Come spesso è accaduto nella storia della linguistica, in alcuni casi l’interesse per il fenomeno linguistico è stato strumentale all’istanza identitaria. Tra Otto e Novecento, i cultori di memorie locali ebraiche, con lo studio e l’uso scritto delle parlate “giudeo-italiane”, si sono proposti di salvare dall’estinzione, per via linguistica, le tradizioni avite, minacciate dalla crescente assimilazione e dall’abbandono dei ghetti. Questa reazione culturale, di conoscenza e di salvaguardia nella memoria collettiva di quanto stava scomparendo, non è stata però scevra di derive ideologiche: spesso le differenze tra le lingue degli ebrei e quelle dei non ebrei sono state enfatizzate con finalità identitarie, per distinguere linguisticamente una minoranza sempre più integrata e sempre meno riconoscibile. In alcuni casi all’elemento ebraico è stata data un’importanza eccessiva: gli studiosi hanno trascurato il fatto che una presenza puramente lessicale, che non intacca i livelli più profondi della morfologia e della sintassi, è linguisticamente poco significativa, mentre i poeti hanno dato delle parlate una rappresentazione ipercaratterizzata, stipando a forza nei loro testi un numero inverosimilmente alto di ebraismi. In altri casi, in assenza di convincenti prove linguistiche e a dispetto della nota osmosi culturale e linguistica tra ebrei e cristiani in Italia, si è sostenuta la tesi dell’arcaicità delle parlate “giudeo-italiane”, secondo la quale i dialetti otto-novecenteschi degli ebrei rifletterebbero quelli parlati dai non ebrei centinaia di anni prima.

In cosa consiste a tuo avviso l’importanza di studiare le giudeo-lingue, nonostante il loro statuto così incerto?

L’importanza delle lingue degli ebrei, più che strettamente linguistica, è storica e culturale, nel senso che tutte – non solo le più illustri e caratterizzate in senso ebraico, come lo yiddish – testimoniano un mondo in gran parte scomparso che va studiato nei minimi dettagli, parola per parola, per comprendere la splendida complessità della Diaspora.

Dunque se qualcuno trovasse, tra le carte di famiglia, poesie adatte alla vostra antologia, cosa dovrebbe fare?
Dovrebbe solo mandare una mail all’editore (info@ilcubo.eu) e a me (natale@unistrasi.it), con qualche dettaglio e magari qualche fotografia. Anche i testi non poetici (elenchi di parole e modi di dire, ricette etc.), purché abbiano parole “tipiche” delle parlate degli ebrei d’Italia (derivate, per esempio, dall’ebraico o dallo yiddish), sono i benvenuti e potrebbero confluire, come materiali di supporto, in un’appendice del volume. Dopo un’expertise dal vivo, mi basteranno le riproduzioni, a meno che i proprietari non vogliano affidarmi gli originali per il tempo necessario a trascriverli. Se mi chiedi, invece, perché mettere a soqquadro la casa e prendersi il disturbo di contattarci, direi, banalmente, per vivificare il passato con lo studio e la divulgazione, per evitare che le future generazioni per cui forse sono stati scritti quei testi si riducano a qualche pronipote magari nemmeno più in grado di leggere le grafie degli avi e di capirne il dialetto e le parole ebraiche.

Raffaella Di Castro, Pagine Ebraiche agosto 2017

(24 agosto 2017)