Ricordando Meoni

Sara Valentina Di PalmaMercoledì 16 agosto è morto Vittorio Meoni. Difficile scegliere, tra le tante, un’immagine di Vittorio, probabilmente quella che più gli si attaglia è difensore del pensiero critico. Vittorio è stato anche, fino alla sua scomparsa, presidente dell’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età Contemporanea, nonché presidente onorario dell’ANPI provinciale di Siena. Assessore e vicesindaco del Comune di Siena, nel 1964 ha rinunciato alla candidatura a sindaco dopo le accuse di settarismo operaio tendente all’anarchismo. Un po’ anarchico e libertario, se con questo intendiamo il non conformismo al pensiero unico, lo era davvero, già da ragazzo.
Nato l’11 dicembre 1922 a Colle Val d’Elsa, dopo gli studi al liceo classico Michelangelo in via della Colonna a Firenze (dove si era trasferito dodicenne con i genitori, insegnanti, andando ad abitare in via Ciro Menotti, non lontano dalla sinagoga) Vittorio si iscrive alla facoltà di Scienze politiche, da cui viene espulso nel 1942 per aver espresso idee non conformi in seno agli Universitari Fascisti – mentre tutti inneggiano al duce ascoltando un suo discorso alla radio, Vittorio si chiede ad alta voce perché, piuttosto, non chiedano pane, dato il razionamento alimentare e la gran fame – e, fatto ancor più grave, per aver provato (dall’interno all’adesione fascista, come ribadirà più volte negli anni), a contestare la nomina mussoliniana dei dirigenti delle corporazioni invece che con un meccanismo elettorale, in occasione di un convegno alla Casa della Gioventù Italiana del Littorio in piazza Beccaria.
In università non metterà infatti più piede, prelevato una mattina prima di andare a lezione, interrogato in questura e da lì portato al carcere delle Murate.
Grazie all’intervento di Giorgio La Pira, con l’intercessione dell’arcivescovo Elia Della Costa (in seguito impegnato nel salvataggio degli ebrei fiorentini insieme al rabbino capo Nathan Cassuto z.l. e a diversi membri del clero locale e della resistenza antifascista) la condanna di Meoni al confino di polizia gli viene commutata in ammonizione, con limitazione della libertà di movimento. Vittorio ottiene di trascorrere questa libertà vigilata a Colle, sua città natale e dove pensa sia preferibile la sorveglianza da parte dei carabinieri locali piuttosto che della Questura di Firenze. Una volta libero e tornato a Firenze, dove vorrebbe allacciarsi agli ambienti cattolici antifascisti, sarà arrestato di nuovo dai famigerati sgherri di Mario Carità (impegnati nella repressione antipartigiana come negli arresti e nelle requisizioni a danno della popolazione ebraica, in collaborazione con l’ufficio Affari Ebraici della Prefettura diretto da Giovanni Martelloni) e condotto a ‘villa triste’ in via Bolognese, luogo di tortura prima che di interrogatori.
Qui Meoni viene minacciato di fucilazione se non denuncia gli antifascisti fiorentini, cosa che non fa (per me fu facile perché non conoscevo nessuno, dirà anni dopo) e soprattutto subisce continue violenze e angherie – prima picchiavano e poi interrogavano, ricorda, ed in confronto persino il carcere alle Murate sembrava più rassicurante, se non altro perché non vi vigeva il potere di vita e di morte degli aguzzini sui detenuti.
Una volta tornato libero, dall’inizio di febbraio del 1944 Vittorio si unisce ai partigiani della brigata “Spartaco Lavagnini”, operando nella zona di Colle, Casole d’Elsa e Montieri e sul Montemaggio, dove è impegnato in azioni di assalto alle caserme dei carabinieri per procurarsi armi e al sabotaggio delle vie di comunicazione (la Cassia e la linea ferroviaria Siena-Firenze).
Nel marzo del 1944 si rifugia con altri compagni sul Montemaggio a casal Giubileo, non lontano da Monteriggioni, ma i repubblichini li sorprendono e li fucilano. Diciannove partigiani cadono assassinati mentre Meoni, gravemente ferito, riesce a fuggire e, grazie all’aiuto della popolazione locale, sopravvive, lui solo, al più grave eccidio partigiano del senese.
Dopo la liberazione di Siena sarà responsabile della stampa e propaganda del Comitato di liberazione nazionale a Siena e segretario del movimento giovanile comunista. Alla madre nel 1945 scrive di avere dei “doveri come italiano e come comunista” (in La libertà è come l’aria. Racconto di una militanza antifascista, Edizioni Effigi 2012): di qui il successivo impegno politico, il concorso per diventare insegnante non accettando mai compromessi comodi professionali e personali, il dialogo ininterrotto con i ragazzi delle scuole.

Sara Valentina Di Palma

(24 agosto 2017)