Pagine Ebraiche, dossier Sicilia
Fra tradizione e cosmopolitismo
La Giornata Europea della Cultura Ebraica in programma il prossimo 10 settembre protagonista del numero di settembre di Pagine Ebraiche in distribuzione, che tra i vari temi approfondisce sfide e scenari dell’ormai tradizionale appuntamento di fine estate. Incontri e linee guida della Giornata trovano collocazione in diverse pagine del mensile, in continuità con i diversi spazi di approfondimento aperti nello scorso numero attraverso le pagine dello speciale dossier “Sicilia ebraica”.
Al centro del dossier, oltre alla Giornata, un fitto programma di impegni che attende leadership ebraica e istituzioni locali. A partire dalla sfida di aprire in un prossimo futuro una sinagoga a Palermo, a oltre cinque secoli dagli editti di espulsione firmati dai regnanti di Spagna che segnarono la fine di una presenza ebraica sull’Isola.
Dal numero di agosto, uno sguardo sulla Sicilia ebraica con il rav Punturello.
Inizia con una battuta ironica il dialogo con rav Pierpaolo Pinhas Punturello, responsabile per Sud Italia di Shavei Israel, l’organizzazione israeliana che accompagna il percorso verso l’ebraismo dei molti, in tutto il mondo, che hanno scelto di tornare alle proprie radici. “L’ebraismo italiano è sempre convinto di stare fra New York e Gerusalemme…”. Continua poi, con tono più serio: “Sono poche le comunità che hanno ancora quel senso cosmopolita e internazionale che le caratterizzava, mentre gli ebrei palermitani sono pochissimi ma hanno esattamente quello, sono parte di un mondo i cui riferimenti non sono solo italiani”. Rav Punturello, napoletano, ha affiancato gli studi rabbinici a quelli universitari, all’Orientale, ed è stato rabbino presso la Comunità di Napoli prima di continuare il suo percorso in Israele. La sua profonda conoscenza della realtà ebraica del sud Italia e la sua storia personale gli permettono di avere una visione chiara della ricchezza e anche delle difficoltà e delle sfide poste da una realtà complessa e variegata, e anche di non essere percepito come un “corpo estraneo” dall’ebraismo locale. Sentirgli raccontare la storia della Sicilia ebraica è una appassionante traversata lunga secoli e la scoperta di un mondo di cui molto si parla ma che è ancora relativamente poco conosciuto. “Partiamo solo dai tempi più recenti: gli ebrei hanno iniziato a tornare in Sicilia poco prima dell’Unità d’Italia, per i motivi più diversi. Tra Ottocento e Novecento non mancavano le occasioni imprenditoriali, così cominciarono ad arrivare sia famiglie della borghesita italiana che straniera, ad arricchire le fila di quella nobiltà imprenditoriale del sud che già non mancava, soprattutto a Palermo. Alcuni nuclei piemontesi si spostarono perché facevano parte della struttura burocratica del nuovo Stato, e arrivarono anche molti professori universitari, in un flusso migratorio non motivato da necessità, ma da scelte e possibilità di coprire posti interessanti. Il direttore del Teatro Bellini, per esempio, era un ebreo ungherese, e va ricordato che si tratta di una città portuale, in cui è naturalmente ricca da sempre la presenza straniera. Sono poi da ricordare i rapporti col Mediterraneo, e in particolare con Tunisi, dove c’era una comunità di origini italiane con cui erano fittissimi gli scambi, anche commerciali. Un altro flusso ebraico arrivava da Napoli, da cui in molti partirono per aprire negozi e attività commerciali, e quando vennero costituite le comunità ebraiche il nucleo palermitano, più di duecento persone, si chiese se diventare comunità, ma molti non erano né così radicati né forse sicuri di restare, così vennero censiti nelle comunità d’origine, dove spesso tornavano per le feste principali.
Era una comunità dalle radici multiformi, internazionali, molto aperta al confronto con l’esterno, e bisogna sapere anche che fra le due guerre la buona borghesia non ebraica mandava i figli a fare una sorta di viaggio di formazione, prima di mettere loro in mano gli affari di famiglia, e una tappa molto frequente era Baden Baden, dove spesso i giovani si innamoravano, col risultato di tornare a casa con una moglie ebrea originaria dell’est Europa. Così è stato per la madre di Enzo Sellerio, per esempio, ma molte ragazze della buona borghesia ebraica polacca e lituana sono arrivate in Sicilia così. Con le leggi razziste del ’38 chi lavorava di fatto ha trovato spesso un modo per restare, la società siciliana ha reagito in maniera positiva, ha uno spirito un po’ anarchico di suo, ed è anche stata liberata prima. Il rapporto con Tunisi era rimasto stretto, più forte che con la realtà ebraica italiana, anche per questioni numeriche: andare a passare le feste a Tunisi significava ritrovarsi in una comunità che contava settemila persone, quando a Napoli erano trecento e molti parlavano francese in casa, oltre ad altre molte lingue. Hanno poi iniziato ad arrivare anche gli israeliani, che attraccavano a Palermo con la marina mercantile e la vita ebraica, man mano, ha ripreso vigore” È negli anni Ottanta che anche in Italia ci si è resi conto delle potenzialità, e della ricchezza e voglia di esistere e raccontarsi degli ebrei siciliani. “La cosa più bella – continua Punturello – è che oltre al naturale processo di ritorno e riavvicinamento c’è anche la riconquista di un rapporto con la cittadinanza, in una regione che percepisce da sempre le comunità ebraiche come parte integrante di una storia comune”. È rete che funziona, accoglie e sostiene i nuclei ebraici, insieme alle istituzioni sia ebraiche che locali, e soprattutto grazie alla forza e all’energia di alcune persone straordinarie si può ora dire che la rinascita ebraica in Sicilia è avviata. E i primi risultati sono già straordinari.
Ada Treves, twitter @ada3ves
Pagine Ebraiche agosto 2017, dossier Sicilia Ebraica
(30 agosto 2017)