Diritto di carbonara
La vicenda della bambina inglese che era stata affidata a una famiglia musulmana fa pensare. Ovviamente non ci interessa il caso in sé (su cui peraltro sono state dette un mare di inesattezze) ma il modo in cui è stato raccontato e la mentalità comune che ne emerge. Tra i terribili soprusi patiti dalla piccola, è stato detto, c’era il divieto di mangiare il suo piatto preferito, gli spaghetti alla carbonara, poiché contiene pancetta. Quanti bambini adottati in famiglie ebraiche hanno subito gli stessi terribili soprusi? Temo che prima o poi qualcuno si farà questa domanda, con conseguenze inquietanti. E se il divieto del maiale fosse usato contro uno dei genitori nelle cause di separazione o divorzio? Ma no, qualcuno risponderà, nel caso specifico si trattava di affidamento, non di adozione. Una situazione temporanea. D’accordo, ma una famiglia che osserva determinate regole alimentari può consentire a un’ospite temporanea di introdurre in casa cibi proibiti? Ovviamente no. Molti ebrei anche non osservanti (e io sono tra questi) mai e poi mai e poi mai ammetterebbero la pancetta in casa loro, neppure se fosse solo ad uso e consumo di un ospite, anzi, troverebbero (giustamente) molto offensivo se l’ospite chiedesse di introdurla. Può darsi che in quella situazione specifica ci siano stati inopportuni tentativi di indottrinamento, ma in generale non vedo cosa ci sia di male se una bambina viene educata a rispettare la casa che la ospita rassegnandosi a mangiare la carbonara altrove.
Se si dà per scontato che chiedere a un ospite di attenersi a un certo regime alimentare in casa nostra è una violazione dei diritti umani siamo nei guai. Ma per fortuna le cose non stanno così. È sufficiente che la restrizione alimentare non dipenda da motivi religiosi e tutto è lecito. Se la famiglia affidataria fosse stata vegetariana o vegana, o se avesse seguito una qualunque dieta, per quanto bizzarra (e magari anche poco sana) a nessuno sarebbe venuto in mente di difendere il diritto di carbonara della povera bambina. In una società in cui molti considerano un diritto inviolabile dei genitori mettere i figli in pericolo di vita in base a qualche strana teoria o leggenda metropolitana figuriamoci se non si accetterebbe qualche restrizione alimentare per bambini in affidamento. Basta che non sia per motivi religiosi, perché allora diventa automaticamente un sopruso intollerabile. Dunque, se vogliamo che la gente non porti a casa nostra cibo non kasher ricordiamoci di dire che siamo a dieta, o che rifiutiamo quel cibo per qualche ragione ideologica (non importa quanto confusa e contorta). Così nessuno ci troverà niente da obiettare.
Anna Segre
(1 settembre 2017)