Fobia e scontro di civiltà
Il pensiero ebraico insegna il concetto di “kol Israel arevim ze ba ze”, ovvero “ogni ebreo è responsabile/garante dell’altro”, il singolo ebreo dunque deve comportarsi onestamente e nel modo più giusto, in modo che la sua colpa non ricada iniquamente sulla collettività ebraica, per la quale egli è responsabile. Estendendo questo principio dovremmo trarre che chiunque commette un crimine oltre a fare del male egoisticamente sull’altro e su se stesso, lede e infanga in primis il nome dei propri famigliari, antenati, e discendenti, di tutto il suo gruppo e dell’umanità in generale. Un criminale invece di essere accumulato come paradigma della propria nazione dovrebbe essere percepito come uno dei suoi principali nemici.
La serie di violenze avvenute la scorsa settimana sulla riviera romagnola s’inserisce in un contesto di scempio e di orrore delineante un paese allo sbaraglio, vessato da angherie, intolleranza e odio. L’efferatezza di certi gesti ha pochi eguali, e rara è stata anche la strumentalizzazione politica che ne è seguita – riprendendo le stesse parole di una delle vittime, laddove il suo invito alla ragione dovrebbe essere d’esempio -.
In questo periodo in Italia qualunque episodio delinquenziale, si trasforma nel pretesto per far sì che alcuni criminali della peggior risma diventino lo specchio di un’intera comunità straniera di quasi sei milioni di persone, per rilanciare il culto e la difesa della nazione bianca-italiana, o per accanirsi brutalmente contro la Presidente della Camera Laura Boldrini – erede chissà perché della stessa rabbia che qualche anno fa era rivolta alla Ministra Cécile Kyenge – e verso i cosiddetti “buonisti/pietisti” colpevoli più che altro di invitare alla moderazione e opporsi alla xenofobia nonché alle facili generalizzazioni.
Visto che ormai non si ragiona più per buono o malvagio ma sempre per religione e nazionalità, offuscati dalla rabbia pochi hanno notato che le vere vittime delle violenze di Rimini sono due ragazzi polacchi, una trans peruviana, e una ragazza – a quanto riportano i media – di origine africana, e che l’unico testimone esterno che per adesso si è fatto avanti per far luce sulla vicenda è un kebabbaro curdo. Per alimentare ancora di più questo clima di fobia e scontro di civiltà, un confuso articolo del Time, ripreso fedelmente dalle principali testate nazionali, ha riportato la notizia di una bambina cristiana affidata a due famiglie musulmane integraliste che le proibivano di “indossare il crocifisso, e mangiare pasta alla carbonara”, meno interessante però che la decisione di affidare la bambina alla nonna materna è stata presa da una giudice musulmana, e che a quanto riporta il Telegraph, la nonna proprio “bianca” non sia, ma al contrario una musulmana poco praticante che a breve la condurrebbe con sé nel proprio paese. Ad Acqui Terme visto che lo “stato è assente e il popolo esasperato” due ragazzi di diciassette anni hanno pensato bene di causare un trauma cranico a un richiedente asilo colpevole di osservare gli scavi archeologici romani, pubblicando poi il video dell’aggressione in rete. Scontro di civiltà? Direi piuttosto uno “scontro tra ignoranze”. La lettera-manifesto invece circolante in questi giorni, rivolta naturalmente a Laura Boldrini, la quale rievoca lo stupro da parte di due cittadini rumeni o Rom (la stampa non fa distinzione) avvenuto al Prenestino nel maggio dello scorso anno, è stata scritta per l’appunto da una ragazza albanese. Se la memoria non m’inganna, quando ero bambino e ci furono i primi sbarchi (o invasioni?) sulle coste pugliesi, come quello famoso della Vlora nel 1991, gli albanesi erano dipinti interamente dalla destra e dalle cronache come spacciatori, stupratori, assassini e ladri seriali. Bisognerà aspettare probabilmente qualche sbarco alieno, affinché tutti gli esseri umani possano sentirsi parte della stessa unica “razza umana”.
Francesco Moises Bassano
(1 settembre 2017)