Identità – Israele e la Diaspora, due mondi che si rafforzano a vicenda
“Era una bellissima giornata, faceva caldo e ho aperto la finestra. Fuori ho sentito il passo di due soldati tedeschi e poi le loro parole ‘Nein, Nein, Konsolat’”. Era il maggio 1944 e un confine diplomatico fermò una perlustrazione nazista. Queste frasi di mia nonna Flora mi sono tornate in mente, e ne ho richiesto conferma, leggendo di sfuggita alcuni riferimenti al tema di quest’anno della giornata della cultura ebraica: diaspora. La ragione del riaffiorare del ‘ricordo del ricordo’ credo sia data proprio dal ruolo giocato dalla presenza del confine diplomatico. Ruolo presente in molti episodi di quegli anni e, allo stesso tempo, assente in molti – troppi – altri casi. Tutti quei casi, ovvero, in cui non ci fu paese disposto ad accogliere o nel proprio suolo (il Libro Bianco inglese, le quote statunitensi…) o nelle proprie sedi diplomatiche. Per quanto, come sappiamo, il sionismo sia movimento nato indipendentemente dalla Shoah, e per quanto l’aspirazione a vivere in Terra di Israele sia parte integrante dell’identità ebraica a prescindere dagli esiti persecutori di molte diaspore (precedenti la Shoah) – nonostante tutto ciò questo episodio segnala chiaramente come l’esistenza dello Stato di Israele, se nulla può contro l’insorgere dell’antisemitismo, molto può, nei fatti e nell’autopercezione, quando vi sia la necessità di sfuggirvi. Si ha un paese privo di quote di immigrazione (parlo di immigrazione ebraica, chiaramente) e i cui uffici diplomatici sono sensibili alla tutela di una minoranza di ‘correligionari’ – tralascio il problema, privo di soluzioni, della definizione – in qualsivoglia paese ospitante. Con l’esistenza dello stato di Israele cambia, soprattutto, l’autopercezione che si ha della propria condizione diasporica. Sappiamo la battaglia del primo sionismo contro l’ebreo galutì, lo sforzo di ritornare a un’identità nazionale laica e di emanciparsi da quella (unicamente) religiosa. Oggi le cose assumono contorni differenti. Come ricorda il filosofo franco-israeliano, di origine marocchina, Ami Bouganim, Israele non deve più pensarsi in antitesi alla condizione diasporica – o viceversa. Israele e la diaspora si rafforzano vicendevolmente. Soprattutto, con Israele viviamo l’opportunità di una diaspora che non sia più sinonimica di esilio e dove l’integrazione con il mondo non ebraico, che sempre ha accompagnato le migliori pagine della storia della diaspora, non anticipi più, necessariamente, l’assimilazione.
Cosimo Nicolini Coen