Piperno e il tempo di Philip Roth
“Si scrivono romanzi per ingannare il tempo, in tutte le accezioni che tale espressione comporta”, spiega Alessandro Piperno a una folla che per sentirlo parlare, all’aperto, di Philip Roth al Festivaletteratura di Mantova, sopporta stoicamente la tramontana abbattutasi sulla città all’improvviso.
Roth è lo scrittore “esemplare”, che esordisce giovanissimo, che alterna capolavori – che si traducono in successi enormi – a libri completamente sbagliati, errori tanto grandi quanto i suoi colpi di genio. Un po’ come Woody Allen, sono cervelli che hanno bisogno di creare un’opera all’anno, buona o pessima che sia. Roth è lo scrittore che riesce a far parlare di sé non scrivendo, annunciando a tutto il mondo che non scriverà più.
Roth è lo scrittore che, venuto in Italia per intervistare Primo Levi, riesce a farlo arrabbiare prima ancora di iniziare, dichiarando che servirebbe un’altra guerra per sapere di che cosa scrivere. La guerra a cui Roth si riferisce – e che in qualche modo corteggia – non è vera, bensì è lo stato di conflitto interiore e permanente del suo personaggio tipo, l’alter-ego letterario Nathan Zuckermann de La lezione di anatomia, afflitto da un tremendo quanto simbolico mal di schiena che gli impedisce di stare seduto, rendendogli di fatto impossibile lo scrivere. “Da che cosa mi dovrei emancipare, ormai?” si domanda Zuckermann: i genitori sono morti, non ha più nessuno di cui vendicarsi, nessun luogo d’origine da cui liberarsi, nulla da scrollarsi di dosso.
La letteratura nasce dove c’è un conflitto. Può essere questa la ragione per la quale amiamo tanto, oggi – prosegue Piperno – i grandi narratori israeliani Grossman, Oz, Yehoshua, Nevo etc.. Anche se ci raccontano di un banale adulterio, c’è sempre il conflitto a fare da sfondo, a colorare il racconto delle sue tinte minacciose ma vive. E noi lettori lo intuiamo.
Quando Marcel Proust inizia a scrivere La Recherche non sa che – di lì a qualche anno – scoppierà la Prima Guerra Mondiale, ma in qualche modo se ne giova, perché la guerra fa da spartiacque, separa ciò che è prima da ciò che è dopo (Di Roth in Roth a questo punto come non riandare con la mente alla sensazione di rinascita che accompagna il ritorno a Vienna del protagonista de La Cripta dei Cappuccini di Joseph Roth nel 1918?).
Un altro spartiacque importante nella vita di un uomo e di un artista è la morte dei genitori, la perdita del patrimonio, il momento in cui il pensiero della propria mortalità si insinua in ognuno di noi per non lasciarci più.
Se non esistesse la morte probabilmente non avremmo bisogno dell’arte,
ha detto qualcuno. Woody Allen, conclude Pieperno, interpellato da un giornalista che gli chiedeva se fosse felice di essere ormai certo di avere un posto nella Storia, ha riposto: “Fosse per me preferirei rimanere nel mio appartamento dell’Upper East Side”.
Miriam Camerini
(8 settembre 2017)