Tempo vuoto
Tempo libero (il poco rimasto), anzi tempo vuoto aspettando di prendere il treno. Finalmente da anni grazie ad una complicata congiunzione astrale non sono in gravidanza, non allatto (tanto), non ho contro indicazioni, e posso tornare a pensare al caffè come un gradevole piacere della quotidianità. Dunque prendo un caffè al bar, lungo, non zuccherato come dovrebbe essere il caffè per gustarlo davvero. Mi posso pure permettere di sfogliare il giornale, cosa assai rara.
Le prime cinque pagine del quotidiano sono occupate con le notizie degli stupri di Rimini e dell’arresto del presunto capo branco del gruppo di violentatori. La sesta pagina parla degli ‘orrori della storia’ rammentando in un articolo gli stupri commessi dai goumier – i soldati marocchini che al seguito delle truppe francesi furono impegnati in Italia nel Secondo conflitto mondiale, macchiandosi di diversi crimini tra cui numerose violenze sessuali poi definite per antonomasia ‘marocchinate’ – e riportando poi un approfondimento sullo stupro della dodicenne Rosetta nel film La ciociara tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia.
Temo, anzi desidero, che mi sfugga il nesso implicito nell’accostamento.
Rav Joseph Telushkin (A Code of Jewish Ethics, Volume 1: You Shall Be Holy, Bell Tower 2006, pp. 16-17) ricorda la discussione talmudica dei rabbanim sull’essenza dell’ebraismo. Il brano talmudico è molto interessante: Rabbi Simlai cita il profeta Isaia (33:15) per il quale le 613 mitzvot si basano su sei, “come è scritto: colui che cammina in maniera giusta e parla rettamente, disprezza il guadagno dalle ingiustizie, allontana le mani dal tenere tangenti, chiude le orecchie al sangue e chiude gli occhi dal guardare il male” (Makkot 24a). Secondo la Ghemara, poco oltre, tali principi sono rispettivamente interpretati come: comportarsi come Abramo il nostro patriarca; non umiliare gli altri in pubblico; fare come Rabbi Ishmael Ben Isha, il quale ha rifiutato di essere giudice in un caso in cui aveva ricevuto doni sacerdotali dall’imputato per non essere sospettato di scorrettezza; fare come Rabbi Ishmael figlio di Rabbi Yosei, il quale come sopra ricordato rifiutò di prestare giudizio in un caso che coinvolgeva un suo contadino; non ascoltare la derisione di uno studente di Torà restando in silenzio come Rabbi Elazar figlio di Rabbi Shimon; ed infine seguire quanto affermato da Rabbi Hiyya Bar Abba, per il quale non si devono guardare le donne che vanno a lavare i panni al fiume in quanto per farlo esse debbono alzare le vesti scoprendo parte del corpo.
Il quinto principio, quello di chiudere le orecchie al sangue, può essere interpretato come non associarsi a nessuno che trami violenza, ma anche evitare qualsiasi discussione che conduca violenza, come interpretato nel saggio di Fortner e Fackler sull’etica dei mezzi di comunicazione (vedi Robert S. Fortner, P. Mark Fackler, World Media Ethics: Cases and Commentary, Wiley 2018, p. 46). Per un’etica dei mezzi di comunicazione, appunto.
Sara Valentina Di Palma