Livornez
Ad un tratto mi sento più livornez del solito, per usare il demotico del marrano Lopes nel celebre contrasto in giudeo-portoghese col frate inquisitore. Avevo scoperto ed ero abituato a immaginare il fango e la desolazione di chi ha perso ogni cosa nei campi profughi o nelle bidonville del “terzo mondo”, non pensavo di trovare una domenica mattina questo triste scenario dietro casa mia. Ero convinto soltanto che la scorsa domenica sarebbe stata significativa perché anche a Livorno, come nelle altre città d’Italia, si sarebbe svolta la Giornata Europea della Cultura Ebraica. Non è stato invece così. Si fa fatica a concepire, specie in Occidente, la nostra vulnerabilità e la nostra precarietà di fronte a un clima sempre più ostile e alla natura che si trova spesso sopraffatta dall’urbanizzazione e dal consumo del suolo. Tutto ciò dovrebbe anche renderci più sensibili di fronte a coloro che lontano da noi si trovano da sempre nelle stesse condizioni. Perché in un certo senso, più di prima, il mondo è uno soltanto. Forse il concetto di diaspora racchiude anche questo, come nel “dialogo della natura e di un Islandese” di Leopardi non esiste possibilità di fuga ed ogni luogo terreno è ontologicamente in esilio rispetto al mondo superiore.
Francesco Moises Bassano