Nel nome di Giorgio Goldenberg
“Può confermare quanto mi ha appena detto con una testimonianza scritta?”. “Certo, è davvero il minimo che possa fare per una persona che mi ha salvato la vita”. Si conclude così una lunga telefonata tra Firenze e Kfar Saba, Israele. All’altro capo della cornetta c’è Giorgio Goldenberg, 78enne ebreo di origine fiumana. Giorgio si è appena confidato andando a ripescare nomi e luoghi della sua infanzia in fuga dal nazifascismo. Tra le varie reminiscenze che tornano insistenti alla mente c’è una cantina fiorentina con affaccio su un piccolo cortile interno. In quella cantina Giorgio ebbe modo di nascondersi insieme ai genitori negli ultimi mesi di occupazione tedesca grazie a uno dei suoi proprietari, un agile trentenne di Ponte a Ema, campione sui pedali e nella vita. La voce di Giorgio trema per un attimo e poi scandisce dolcemente: “Quel signore si chiamava Gino Bartali”. Si apre con questa rivelazione un nuovo e avvincente capitolo nella saga extrasportiva di Bartali. Finora infatti era nota la sua azione di corriere clandestino che portava documenti falsi e da falsificare per gli ebrei nascosti nel Centro Italia ma nulla si sapeva di un suo coinvolgimento ancora più diretto nell’opera di nascondimento dei perseguitati. Man mano che Giorgio si immerge nei ricordi emergono dettagli inediti che dimostrano ancora una volta di quale pasta fosse fatto questo grande protagonista del Novecento italiano. La famiglia Goldenberg si trasferisce a Firenze dopo essere miracolosamente scampata alle retate dei fascisti a Fiume e prende dimora a Fiesole, comune collinare che sovrasta magnificamente la piana fiorentina. Nonostante il regime di leggi razziali a cui sono sottoposti gli ebrei, fino all’occupazione tedesca riesce a vivere una vita relativamente “normale” barcamenandosi tra mille insidie e restrizioni. Giorgio fa la spola tutti i giorni da Fiesole a Firenze dove è iscritto alla scuola elementare ebraica, i suoi genitori diventano amici di Bartali e di suo cugino Armandino Sizzi. Giorgio ignora la genesi di questa amicizia ma ricorda chiaramente il giorno in cui Gino fece capolino nel salotto di casa sua.
“Me lo rammento benissimo”, conferma. Con l’arrivo dei nazisti in città la situazione per gli ebrei diventa sempre più drammatica. Ma Gino e Armandino si attivano immediatamente per i loro amici fiumani che vengono messi in salvo nello scantinato di uno stabile di via del Bandino in zona Gavinana.
Osservatore RomanoInizialmente Giorgio è ospitato nel convento delle suore di Santa Marta, poi un giorno sua madre bussa al portone dell’istituto e lo porta con sé nella cantina di Bartali. “La cantina – spiega Giorgio – era molto piccola. Una porta dava su un cortile ma non potevo uscire perché avrei corso il rischio di farmi vedere dagli inquilini dei palazzi adiacenti. Dormivano in quattro in un letto matrimoniale: io, il babbo, la mamma e mia sorella Tea. Non so dove i miei genitori trovassero il cibo. Ricordo solo che il babbo non usciva mai da quella cantina mentre mia madre usciva con due secchi a prendere acqua da qualche pozzo”.
La prima visione di libertà sarebbe arrivata circa tre mesi dopo nelle sembianze di un soldato inglese della Brigata Ebraica: “Mi ricordo – dice Giorgio – che tutti gridavano che erano arrivati gli inglesi e io uscii per vedere.
Così vidi un soldato inglese con la scritta Palestina e con la Stella di Davide cuciti sulle spalle, mi avvicinai e mi misi a canticchiare la Hatikwa (l’inno del futuro Stato di Israele, ndr).
Lui mi sentì e si rivolse a me in inglese. Tornai di corsa in cantina, chiamai il babbo che uscì e cominciò a parlargli in yiddish. In quel momento capii che eravamo liberi”. Commosso da queste rivelazioni Andrea Bartali, presidente e anima della Fondazione Gino Bartali onlus che negli anni mantiene vivo il ricordo dell’eroismo di Ginettaccio. “È una notizia bellissima che dimostra ancora una volta il grande cuore di mio padre e che spero ci aiuti a piantare presto questo benedetto albero in Israele”. Andrea si riferisce alla battaglia di memoria e giustizia lanciata su Pagine Ebraiche in primavera. Sulla nostra testata sollecitavamo la raccolta di testimonianze utili per piantare un albero in onore di Gino Bartali allo Yad Vashem, uno dei luoghi della Memoria più sacri per il popolo ebraico. Bartali fingeva di allenarsi per le grandi corse a tappe che sarebbero riprese dopo il conflitto ma in realtà pedalava per la libertà, celando nel sellino della bicicletta nuovi e salvifici documenti di identità che fece recapitare a circa 800 ebrei nascosti in case e conventi tra Toscana e Umbria.
La sfida di trovare testimoni a distanza di oltre 65 anni dai fatti si è rivelata molto ardua. L’appello di Pagine Ebraiche ha portato finora a due preziosissime testimonianze cartacee a cui si affiancano adesso le parole di Giorgio Goldenberg, raggiunto grazie alla fondamentale intermediazione dello storico Nardo Bonomi.
Le sue parole di gratitudine (“Gino e Armandino sono due eroi della Resistenza a cui devo la vita”) aprono inediti fronti della Memoria e lasciano pensare che “questo benedetto albero” possa finalmente iniziare a veder crescere le proprie radici tra le colline di Gerusalemme.
Adam Smulevich, Pagine Ebraiche, gennaio 2011
(Nell’immagine Giorgio Goldenberg, scomparso lo scorso aprile, con la moglie Noga)