Bologna – Un anno per il bene

Rabbino capo Sermoneta1Solitamente in un messaggio augurale, in occasione dell’avvicinarsi del nuovo anno, viene usata l’espressione “tachel shanà uvirkoteha – inizi l’anno con le sue benedizioni”, omettendo, quasi in modo scaramantico la prima parte di questo augurio che suona con le parole: “termini l’anno con le sue cose cattive”.
Non c’è ombra di dubbio che nella tradizione ebraica, espressa nella Torà sin dalla creazione del mondo, per conoscere il bene è fondamentale aver avuto esperienze negative.
I primi versetti del primo capitolo della Genesi ci raccontano che la Terra era “deserta e disadorna e le tenebre erano sull’abisso. Il Signore disse: vi sia la luce! E luce fu”.
I maestri interpretano dicendo che il buio è il simbolo del caos primordiale, quindi un concetto originario, da cui si può costruire qualcosa di migliore: la luce o, secondo qualcuno – l’ordine – quindi il bene.
L’anno che ci sta lasciando è stato all’insegna di eventi negativi per tutti gli uomini della Terra.
Guerre, attentati terroristici, violenze contro popoli interi, crisi economiche, sciagure naturali, si sono susseguiti nel corso di esso, coinvolgendo allo stesso modo, ogni uomo, in ogni luogo.
Il susseguirsi di atti di violenza dell’uomo contro il suo prossimo, in ogni regione del nostro Pianeta, ha sicuramente portato instabilità nella nostra vita.
All’ordine del giorno possiamo ascoltare o leggere notizie sconvolgenti che, probabilmente una volta erano impensabili; non vi è più sicurezza da nessuna parte!
Tutto ciò che lo Stato di Israele sta combattendo da settanta anni, sta diventando oramai una piaga irrefrenabile. Eppure Israele è sempre stato criticato dalla maggior parte dei popoli della Terra, per aver usato ogni mezzo per proteggere i suoi abitanti dagli attacchi terroristici sotto ogni forma: dagli autobus che esplodevano verso la fine del secolo scorso, ai kamikaze che si lasciavano esplodere nei luoghi più frequentati, fino alle auto che investono civili inermi e così via.
Nonostante tutto ciò, il popolo ebraico, da millenni, soprattutto in questo periodo dell’anno, si rivolge al Signore Iddio nelle selichot chiedendo, fra le varie necessità:
“Elohenu she bashamaim ten shalom ba olam – D-o nostro che sei nei Cieli concedi la pace al Mondo”. Una pace equa, solida e duratura; una pace che garantisca la protezione dei più deboli ma anche il diritto all’esistenza di tutti i popoli nel segno della libertà.
Per poter attuare le parole della Bibbia che dicono:
“Derakhea darké noam vekhol netivoteha shalom – Le Sue strade sono strade piacevoli e tutti i Suoi sentieri sono di pace” (Mishlé).
Shanà tovà

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna

(24 settembre 2017)