Teheran provoca il mondo
Dopo la Corea del Nord, anche l’Iran. Il test militare effettuato ieri da Teheran getta una nuova ombra sull’intesa del 2015, già messa in discussione da Donald Trump nel suo recente discorso all’Onu e fortemente osteggiata dallo Stato di Israele. Diverse le reazioni a livello internazionale. Scrive tra gli altri il Corriere: “L’Alto rappresentante della politica estera della Ue, Federica Mogherini, ha detto che non c’è bisogno di rinegoziare l’accordo con l’Iran ‘perché sta funzionando’. Così gli altri firmatari. Ma il presidente francese Macron, pur definendolo un ‘buon accordo’, si è detto aperto ad aggiungere ‘due o tre altre misure’. La data chiave è il 15 ottobre, entro la quale Trump dovrà decidere se certificare che Teheran sta rispettando l’intesa”.
In un pezzo sul complesso incastro geopolitico mediorientale in cui si parla anche di questa vicenda Il Fatto Quotidiano propone oggi testualmente i concetti di “soluzione finale” e “pulizia etnica morbida”. Il riferimento è alla situazione dei palestinesi e a un piano cui starebbero lavorando Egitto e Israele per dar vita a una “mini-Palestina”.
Grande l’attesa per il voto in Germania, dove per la prima volta entrerà in Parlamento l’ultradestra di AfD. Alice Weidel-Alexander Gauland: questa la “strana coppia della politica tedesca, ma anche la più inquietante” (definizione del Corriere). “Per lei – si legge – parla la definizione di ‘porci’ riservata ai membri del governo federale. Per lui, l’elogio delle ‘imprese dei soldati tedeschi in due guerre mondiali’. Di che essere preoccupati”.
Pomeriggio nella ‘tana del lupo’ per il ministro Marco Minniti, ospite ieri della rassegna Atreju (tradizionale ritrovo di destra, gremito anche di nostalgici). Scrive La Stampa a proposito dell’incontro: “Durante i sessanta minuti di intervista pubblica accade di tutto: Minniti scherza sul suo ‘capoccione’ mussoliniano; racconta di aver lavorato sulla scrivania del Duce, ma al tempo stesso cala sulla platea parole sgraditissime: ‘La destra deve fare i conti con la propria storia fino in fondo, deve farlo con una storia drammatica, che è finita per sempre. Affinché il morto non afferri il vivo!’. In questo caso scattano i fischi, ma sui migranti si erano alzati gli applausi”.
In un’ampia intervista al Messaggero Christian De Sica parla della figura del padre Vittorio e di una sceneggiatura ancora in sospeso, in attesa di un produttore che possa portarla sul grande schermo. “È una storia meravigliosa. Racconta – afferma – di quando nel ’43 papà si chiuse dentro la basilica di San Paolo per girare La porta del cielo, finanziato dai preti. Al posto del cast, però, c’erano centinaia di antifascisti e di ebrei che, così, riuscì a salvare”. Il film, prosegue l’attore romano, “era stato anche la scusa per dire no a Goebbels, il gerarca nazista voleva che andasse a Salò per rimettere in piedi il cinema italiano”. Ma De Sica gli rispose che non poteva. Anche perché, spiega il figlio, “aveva promesso a papa Pio XII in persona di girare proprio La porta del cielo”.
Il risentimento crea capri espiatori. È quanto sostiene Noam Chomsky, in un’intervista con Wlodek Goldkorn per Repubblica Robinson. “È lo stesso meccanismo per cui nella Germania nazista gli ebrei venivano considerati colpevoli di tutti i mali. Quando il sistema non funziona, e tu non sei in grado, perché nessuno ti aiuta a esserlo, di capire le cose e cambiarle, sei incline a cercare un capro espiatorio; un gruppo marginale o marginalizzato cui addossare le colpe di tutto” dice il celebre linguista a proposito della condizione degli immigrati in diversi paesi occidentali.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(24 settembre 2017)