“Alatri, una traccia ancora viva”
“Un magnifico esempio di integrazione: riuscì a mantenere forte la sua identità ebraica occupandosi della gestione del governo della comunità, ma si mise anche a disposizione della città con il suo impegno sociale e politico nelle istituzioni di governo cittadino e nazionale, sempre rispettoso delle leggi dello Stato, in ossequio di quanto scritto nel Talmud: ‘dinà demalqutà, dinà’ (la legge dello stato è legge)”.
Così il presidente dell’associazione Amici del Benè Berith Sandro Di Castro ha introdotto la figura di Samuele Alatri, personaggio di spicco dell’ebraismo romano ottocentesco e della vita istituzionale. Su un piano sia locale che nazionale. L’occasione un intervento alla Camera dei deputati del giornalista e storico Paolo Mieli dedicato proprio ad Alatri quale fulgido esempio non solo di integrazione, ma anche di impegno civile, in una stagione di forti mutamenti.
Nasce quindi nel suo nome l’associazione di amicizia, che coopererà a stretto contatto con la dirigenza romana del Benè Berith (tra le più antiche organizzazioni ebraiche al mondo). Grande la soddisfazione dell’attuale presidente, Federico Ascarelli, intervenuto per riaffermare valori e principi fondamentali poco prima della relazione di Mieli. E grande l’orgoglio del padrone di casa, il questore della Camera Stefano Dambruoso, che ha accolto nella Sala della Regina relatori e pubblico. Tra gli altri non ha mancato di portare un contributo l’ex ministro e presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, che ha ricordato il fondamentale impegno di ebrei e valdesi nella stagione risorgimentale e post-risorgimentale. Un impegno in linea con la vita e le decisioni assunte dallo stesso Alatri.
Nato a Roma il 30 marzo 1805 da abbiente famiglia di commercianti, a 23 anni Alatri entra nel consiglio direttivo della locale comunità israelitica, per cui ebbe a trattare prima con Gregorio XVI e poi con Pio IX le questioni relative alla segregazione razziale. Da Gregorio XVI l’A. ottenne che il Monte di Pietà di Roma (di cui molto più tardi, dal 1875 sino alla morte, doveva esser direttore) facesse prestiti su pegni ai suoi correligionari, che prima ne erano esclusi. Chiamato nel 1850 a far parte del consiglio di reggenza della Banca dello Stato Pontificio (poi Banca Romana), riuscì a salvarla dalla crisi del 1855, presentando poi un progetto di riforma generale delle banche dello Stato.
Di formazione liberale-moderata, l’A. nel ’48-’49 partecipò al Municipio romano e strinse legami politici e personali con uomini come T. Mamiani e M. Minghetti. Dopo il 20 sett. 1870 fece parte della delegazione che offrì a Vittorio Emanuele il risultato del plebiscito. Dalle elezioni del 13 nov. 1870 fino alla morte fu consigliere comunale: assessore alle finanze (1870-74), entrò in contrasto col governo per la ripartizione dei beni ecclesiastici e dei proventi del dazio-consumo, nonché per gli stanziamenti a favore delle opere edilizie della capitale. Nelle elezioni amministrative del 1887 fece parte, insieme con il Rattazzi e con altri, della lista dell’Unione romana (di ispirazione cattolico-moderata) confermando così la frase pronunziata, si dice, da Pio IX: “Samuele Alatri è il più cristiano di quei cristiani del Campidoglio”.
(27 settembre 2017)