Il grigio e il nero
Sull’esito delle elezioni politiche tedesche si è aperta una discussione in parte proficua e senz’altro necessaria e in parte bizzarra non meno che scontata. Scontata soprattutto per i termini di paragone che sono stati adottati. Il buon risultato ottenuto dal giovane partito Alternative für Deutschland-AfD, organizzazione della destra euroscettica e nazionalista, che con quasi sei milioni di voti ha conquistato 94 seggi al Bundestag, il parlamento federale, ha innescato prevedibili associazioni di idee (e di giudizi) con il passato nazista. L’Afd ha tra i suoi pilastri ideologici, oltre al rifiuto dell’Europa così come si è venuta configurando in quanto Unione, il sovranismo (ossia la difesa della sovranità nazionale sia come elemento della identità etnica sia come sfera esclusiva e definitiva della decisione politica, rifiutando interventi “esterni”, considerati altrimenti come interferenze), il nazionalismo tedesco (che enfatizza la centralità tedesca negli equilibri europei così come la convinzione di una specificità storica e culturale della Germania medesima, che non può essere confusa con le dinamiche e i percorsi di altri popoli), il conservatorismo sociale e civile. In quest’ultimo caso AfD rifiuta come «innaturali» il matrimonio omosessuale, le adozioni di minori da parte di coppie costituite da persone dello stesso sesso, l’aborto, ma anche le «quote rosa» e, più in generale il «Gender mainstreaming» così come l’«Affirmative action». Il Gender mainstreaming «è il processo di valutazione delle implicazioni per uomini e donne di ogni azione pianificata, compresa la legislazione, le politiche o programmi, in tutti i settori e a tutti i livelli. Si tratta di una strategia che a partire della progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche e dei programmi in tutti gli ambiti politici, economici e sociali fa in modo che le donne e gli uomini possano beneficiare in uguale misura dell’uguaglianza e che la disuguaglianza non si perpetui. L’obiettivo finale è quello di raggiungere la parità tra i sessi» (così il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite). L’Affirmative action, o azione positiva, è invece uno strumento politico ed istituzionale che mira a promuovere principi di equità etnica, di genere, sessuale e sociale. L’azione positiva si riferisce alle politiche di promozione dell’educazione e dell’impiego di gruppi socio-politici in posizione subordinata, perlopiù gli appartenenti alle minoranze o le donne. Lo scopo delle politiche di aziona positiva è di rimediare agli effetti di lungo periodo della discriminazione attraverso quote riservate a favore dei gruppi che si intende tutelare. Gli obiettivi di questo tipo di politica sono raggiunti, abitualmente, con programmi di reclutamento mirato nel mondo del lavoro, trattamenti preferenziali nei confronti dei gruppi socio-politici svantaggiati e in alcuni casi tramite l’utilizzo di quote vincolanti per l’accesso a beni e servizi pubblici. Una variabile che ha inciso enormemente nello sviluppo dell’AfD è stata la crescita, in quest’ultimo decennio, della pressione immigratoria. Il fatto che questo tema sia divenuto un argomento al medesimo tempo diviso e riordinativo nelle società europee (divisivo poiché chiama in causa giudizi simmetricamente contrapposti, creando ed alimentando un dibattito che si fonda sempre di più sulla polarizzazione delle idee in materia, nonché incentivando separazioni tra persone che hanno idee opposte; riordinativo perché le persone tendono a ritenere che l’opinione sulle politiche dell’immigrazione sia una discriminante fondamentale nella scelta del partito o dei candidati da votare) ha fatto da volano nella crescita della formazione politica nazionalista. Non è peraltro un caso se gli esponenti di Alternative für Deutschland coniughino sempre, nei loro discorsi pubblici, il rifiuto dell’immigrazione straniera (e di ciò che ad essa si accompagnerebbe: disordini sociali crescenti; sottrazione di risorse pubbliche, stornate dalla loro “legittima destinazione”, ossia la spesa esclusiva a favore della popolazione tedesca; meticciato universalista, destinato a creare ibridi etnici; perdita dei caratteri propri alla cultura tedesca) all’attribuzione della responsabilità di tale processo, sociale, culturale e demografico al medesimo tempo, alla volontà degli «eurocrati di Bruxelles». Il nesso tra trasformazione della composizione delle società europee e calcolo, al limite del complotto, da parte degli organi dell’Unione, per disintegrare quello che resta delle sovranità nazionali, è parte del comune sentire e pensare dentro il partito. Al pari di diversi movimenti a base populista (ripetendo tuttavia l’avvertenza per cui il termine non è di per sé soddisfacente per definire la vera natura di una formazione come AfD), l’appello alla collettività non passa solo attraverso le urne ma anche con la proposta di tenere, non appena possibile, una serie di referendum abrogativi per rinegoziare o addirittura fuoriuscire dal sistema dell’Euro, così come per vincolare il potere delle «eurocrazie». Interessante è il nesso che viene ripetuto, come se costituisse un’evidenza immediata, tra gli effetti della globalizzazione, sempre più temuti da un numero crescente di persone, e la rilevante presenza musulmana tra quanti emigrano verso l’Europa. L’avversione dichiarata contro la presenza islamica deriva dalla convinzione che essa si inscriva non nella logica dei flussi migratori bensì all’interno di un progetto politico che propenderebbe per scardinare l’identità storica del Continente, a favore di una sua subordinazione a nuovi centri di interesse. All’interno di questo quadro, anche per le ripetute prese di posizione di una parte degli esponenti del gruppo dirigente, il partito è stato accusato di coltivare elementi di negazionismo, antisemitismo e razzismo nel suo patrimonio politico. Di certo, dinanzi ad una visione intimamente suprematista del ruolo dei tedeschi, da un lato la volontà di ridurre le responsabilità e le colpe della Germania ai tempi del nazionalsocialismo, arrivando a minimizzare le dimensioni e il significato storico della Shoah, dall’altro la diffidenza nei confronti dell’ebraismo, visto di nuovo come un potenziale corpo estraneo, non sono elementi secondari. Potrebbero dare seguito a sgradevoli sviluppi, poiché nessun razzismo è mai un fenomeno “puro”, ossia legato solo ad un’unica avversione, quindi verso un solo gruppo sociale o culturale. Il “pensare razzista”, infatti, tende a radicarsi e a radicalizzarsi, divenendo un modo per interpretare la visione delle relazioni sociali, a prescindere da qualsiasi riscontro di fatto. Di qui a pensare che il nazismo stia tornando, anche solo rivestendo panni più “accettabili”, tuttavia ne corre. L’affermazione elettorale di AfD semmai indica sia il disagio che una parte della popolazione – non necessariamente quella maggiormente colpita dalle trasformazioni che investono i nostri paesi – sta vivendo dinanzi ai processi di globalizzazione sia, soprattutto, l’incapacità dei vecchi partiti di riuscire a darle voce e credito. Non di meno, in Germania, la politica di “convergenza verso il centro”, che ha fatto la fortuna dei tre trascorsi mandati di Angela Merkel, sta manifestando tutti i suoi limiti. Ovvero, il suo plausibile declino. È quindi a partire da questi primi elementi, valutando come la dialettica politica nel partito nazionalista porterà a differenziazioni di accenti e poi di posizioni nel suo interno, che è bene avviare una riflessione sulla pur preoccupante, se non inquietante, affermazione di una opposizione aggressiva e, a tratti, revanscista.
Claudio Vercelli