Oltremare – La guerra del Kippur

fubiniC’è un mestiere in Israele che se lo fai bene ti assicura la santità relativa di una cultura che non ha santi, ed è il mestiere di Presidente. Un anno fa è venuto a mancare Shimon Peres z’l, che nei suoi anni da Presidente è riuscito nell’arte difficilissima di mettere quasi tutti d’accordo, con iniziative per la pace che non calpestavano alluci (forse troppo, infatti alla fine di passi avanti se ne son fatti pochi), viaggi presidenziali in paesi lontani, e una tela di Penelope di rapporti interpersonali con i potenti della terra che in qualche modo portano frutti anche tardivi. Reuven (Ruby) Rivlin sta facendo lo stesso, con la chiara tendenza a fare tutto quello di buono che il governo non si sogna di fare. Discorsi difficili per riunificare un paese che per essere così piccolo è parcellizzato in troppe fazioni, per esempio. E oggi, la più che naturale partecipazione ufficiale alla cerimonia in memoria dei caduti della guerra del Kippur, nel 1973, che è stata, con quella del 1948, l’unica nella quale il rischio che Israele venisse cancellata della carta geografica del Medio Oriente era reale. Il numero dei caduti altissimo. L’impatto sul paese, a tutti i livelli, profondissimo. Fino ad oggi, ogni anno prima di Kippur organizzazioni come Natal offrono servizi di assistenza del post-trauma a reduci e famiglie. A oltre 40 dalla guerra. Ma si vede che il post-trauma non entra in Parlamento. Oggi all’ora della cerimonia annuale il Primo ministro e tutti i ministri discutevano la legge che facilita l’entrata di ex ministri e ex sindaci ai vertici di società governative. Non esattamente una legge salva-paese, e forse non così tanto urgente da non poter essere spostata di due ore. E se è vero che un paese deve guardare avanti, è anche vero che voltare le spalle ai figli orfani e alle mogli vedove dei caduti della guerra del Kippur la dice lunga sul pelo sullo stomaco che è cresciuto a certi politici israeliani. Quanto a Rivlin, santo subito.
 
Daniela Fubini, Tel Aviv