Spizzichino, trent’anni di impegno
Ricordi ed emozioni al Pitigliani
Ricordi, aneddoti, emozioni. Il segno vivo di un contributo profondissimo che il tempo non potrà cancellare. Oltre un centinaio di persone hanno partecipato ieri a un limmud in ricordo di Roberto Spizzichino, per 30 anni alla guida del centro ebraico Il Pitigliani di Roma. Sei lustri fondamentali per la storia dell’istituto, che proprio sotto la sua presidenza (dal 1972 al 2002) avviava e quindi in breve tempo consolidava la radicale trasformazione da orfanotrofio, funzione che svolse per molti anni rivolgendosi a molta gioventù disagiata, a luogo di incontro e cultura aperto a tutti i romani.
Diversi gli interventi che hanno segnato il pomeriggio, tra cui quello della direttrice del Pitigliani Ambra Tedeschi, della presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, di protagonisti della vita dell’istituto quali Ugo Limentani e Franca Coen. “Un uomo capace di lasciare una traccia, che ha fatto del Pitigliani la casa di diverse anime della Comunità. Dai laici ai religiosi” l’ha ricordato il rav Roberto Della Rocca, che ne è stato il genero.
Così Spizzichino raccontava il suo coinvolgimento nelle attività del Pitigliani nel libro di memorie Una storia nel secolo breve pubblicato lo scorso anno su iniziativa dell’attuale dirigenza. Prima esperienza in Consiglio, e per lui subito nomina alla presidenza: “Mi presentai alle elezioni e fui eletto, non mi feci nessuna propaganda elettorale di nessun tipo. E non sapevo niente: non conoscevo i ragazzi, non conoscevo il direttore. Ero lontanissimo dalla realtà di questa istituzione e pensavo di fare il gregario, di aver tempo di poter assimilare la conoscenza, di entrarci prima. Non pensavo minimamente ad una cosa del genere”. E invece prendeva avvio in quelle ore un trentennio fatto di passione e impegno. “Il giorno dopo – raccontava ancora Spizzichino – volli vedere di cosa ero diventato presidente e vidi che la realtà era sconcertante. Quando mi presentarono questi bambini, mi si affollarono intorno come fossi un nuovo padre. Non so, è la sensazione che mi rimane ancora oggi. Questi bambini assistiti mi riconoscevano come qualcosa, forse in loro c’era già la sensazione che io ero la persona che poteva cambiare le loro condizioni”.
(2 ottobre 2017)