Sukkot…
La festa di Sukkòt è definita dalla Tradizione “zemàn simchatenu”, “il tempo del nostro rallegramento”. Come si può essere allegri a comando e in un tempo stabilito? La gioia, come ogni altro sentimento, è qualcosa che nasce spontaneamente e che si manifesta attraverso tempi e modalità che non controlliamo razionalmente. Eppure nell’ebraismo non è proprio così. C’è un’educazione e una preparazione anche ai sentimenti più intimi. Solo dopo un lungo percorso di introspezione, quello vissuto nei trascorsi e intensi giorni di teshuvà, che se sincera porta al perdono e alla ripacificazione, possiamo raggiungere la dimensione della Gioia. Sukkòt, infatti, è la festa della completezza, la festa nella quale si compie la mitzwà della Sukkà con tutto il nostro corpo, ma anche nella quale si impara a servire il Creatore con la materialità. È la festa nella quale ricomponiamo le fratture, nella quale facciamo di quattro vegetali un solo fascio e di tanti tipi di ebreo un sol popolo. Ma Sukkòt è soprattutto la festa nella quale ci riconosciamo amici nella gioia di darci reciprocamente ognuno in ragione dei mezzi di cui dispone. È a Sukkòt che dobbiamo imparare a rallegrarci nel condivisione di uno stesso tetto di frasche, paradigma di precarietà, provando una gioia interiore e genuina, senza artifici e senza sovrastrutture, per imparare a convivere con la caducità della nostra vita. Moadìm Le Simchà
Roberto Della Rocca, rabbino
(3 ottobre 2017)