Dalla Costituzione al calcio, il razzismo lascia il segno
“I tempi cambiano, i problemi incalzano e la memoria rischia di sbiadire. Parlare con la società civile è difficile come non mai. Sostenere in una stagione di dura crisi economica il peso delle istituzioni di una minoranza piccolissima nei numeri e grandissima nella storia, negli ideali e delle speranze, sembra quasi impossibile. Poi, da un momento all’altro, salta fuori qualche antenato che viene a darci una mano. E ci rendiamo conto che il maggiore patrimonio di sicurezza e di stabilità, il vero tesoro, in questi tempi di ricchezze fasulle, non sono tanto le glorie, ma molto di più le sofferenze di chi ci ha preceduto”. A scriverlo, il direttore del giornale dell’ebraismo italiano Guido Vitale presentando sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche (Ottobre 2017) il libro appena uscito di Adam Smulevich, Presidenti (Giuntina). Un volume dedicato a tre affascinanti figure del calcio italiano, poco conosciute al grande pubblico e segnante dalle pagine buie del Novecento italiano: i presidenti Raffaele Jaffe, Giorgio Ascarelli, Renato Sacerdoti. Le loro storie si intrecciano con il fascismo e con l’infamia delle leggi razziste: ebrei orgogliosi di esserlo, ebrei sull’orlo dell’assimilazione, ebrei d’origine ma ormai cattolici da tempo. Non fu fatta distinzione, tutti finirono nel tritacarne (mediatico e non solo) dell’antisemitismo di Stato. Sulla base di una presunta superiorità razziale, Mussolini e il fascismo tradirono i loro concittadini ebrei: nefaste teorie che la scienza, come racconta il dossier del numero di ottobre di Pagine Ebraiche, ha smentito ma che purtroppo non sono mai state sepolte e anzi oggi ritornano – sotto altre forme – in voga. Le razze non esistono, ma i razzismi sì, spiegano scienziati, giuristi, filosofi. E vale la pena – come farà un importante convegno il prossimo 12 ottobre a Pavia – interrogarsi nuovamente su uno degli articoli più significativi della nostra Costituzione: l’articolo 3 dedicato all’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini italiani e che cita il termine “razza”. Ora che sappiamo che le razze non esistono, molti antropologi chiedono di cancellare quella parola dalla Costituzione: non tutti sono d’accordo ma è fondamentale parlarne. Ma è necessario farlo a proposito, con la consapevolezza di quanto questo argomento sia delicato come lo è un libro che ha segnato, nel male, il Novecento e il mondo ebraico: il Mein Kampf. Libro che è uscito recentemente in Italia in un’edizione critica curata dallo studioso Vincenzo Pinto, intervistato in questo numero dal direttore del Centro di documentazione ebraica di Milano Gadi Luzzatto Voghera. “Credo che Hitler e il nazismo non siano stati capiti a fondo e che il nostro lavoro critico può certo contribuire a gettare un po’ di chiarezza sulle loro strategie argomentative” afferma Pinto, spiegando il perché dell’edizione critica.
La creazione del consenso attraverso la propaganda razzista e antisemita, la pervasività del pregiudizio, l’istigazione alla paura e all’odio, sono temi ancora attuali: ce lo raccontano due ricerche puntuali che toccano questi temi. Una del Jewish Policy Research, analizzata da Ada Treves in questo numero di Pagine Ebraiche, che mette a fuoco il problema dell’antisemitismo in Gran Bretagna. L’altra, nata dalla collaborazione della Fondazione Cdec con Ipsos e incentrata sugli “Stereotipi e pregiudizi degli italiani”. Due indagini che permettono di darci un termometro del contesto sociale dei due Paesi.
Lasciando l’Europa e le sue difficoltà, anche in Israele il dibattito sull’uguaglianza è all’ordine del giorno: una sentenza della Corte suprema israeliana ha recentemente affermato il principio secondo
cui non ci possono essere disparità tra chi deve fare il servizio di leva, per cui al mondo haredi (ultraortodosso) non si possono applicare tutte le eccezioni previste. D’Israele parla anche il demografo Sergio Della Pergola, che con la consueta chiarezza di analisi, spiega che cosa accade nel Paese in merito ai dati dell’emigrazione: tanti israeliani scelgono di partire ma questo è davvero un fattore che deve preoccupare. Della Pergola va a fondo della questione.
Nelle pagine di Cultura del giornale dell’ebraismo italiano si parla poi di Documenta, “la travolgente, sensazionale esposizione monstre che si svolge a Kassel ogni cinque anni”, il cui filo conduttore è una riflessione sulle inquietudini dell’Europa, i flussi migratori, il problema della libertà d’espressione. Rispetto ai libri in uscita, si parla poi di Salvati. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah 1943-1945, la documentata ricerca sulla memoria della salvezza lanciata dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano con il coordinamento di Liliana Picciotto. Diverse le domande che si pone la storica in questo nuovo lavoro. Tra le altre le seguenti. Che cosa sapevano gli ebrei in Italia della Shoah che infuriava già nell’Europa nazista? E che cosa ne sapeva la gente comune? Qual era il rischio per un normale cittadino che desse soccorso agli ebrei? Può questo soccorso definirsi come resistenza civile?
Dai pesanti interrogativi del passato, alle importanti affermazioni del presente: il ministro Franceschini ha scelto a New York il nascente Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara come biglietto da visita per l’eccellenza italiana in campo culturale al convegno “World Cultural Conservation. Italy at the Forefront: Innovation versus Constraints”. Segno dell’importanza per l’Italia di oggi di parlare della sua minoranza ebraica, della sua storia, dei suoi valori.