sigillo…

Questa sera inizia il settimo e ultimo giorno della festa di Sukkot conosciuto come Hosh’anà Rabbà, ricorrenza densa di significati soprattutto per i Maestri della Qabalà. Stasera, 21 del mese di Tishri è anche il ventiseiesimo giorno dalla creazione del mondo iniziata il 25 di Elul, e questo stesso numero equivale al valore della somma delle lettere che compongono il Nome dell’Eterno, il Tetragramma. È questa una delle spiegazioni del nome di Hosh’anà Rabbà, dove “Rabbà” sarebbe riferito al Grande Nome. Il 26 in verità è un numero di completezza. Ci sono 26 generazioni da Adamo a Moshè, dal primo uomo al dono della Torà, una metafora di un percorso di Teshuvà che va dalla caduta del primo uomo alla riconciliazione simboleggiata dalla ricezione della Torà. Per questo motivo la notte di Hosh’anà Rabbà è chiamata “Lel Hachotàm Hagadòl”, “la notte del grande sigillo”, nella quale il Giudice Supremo emana il verdetto definitivo sulla sorte di ognuno di noi. In alcuni testi rabbinici, tra cui lo stesso Shulkhàn Arùkh, viene riportato un uso diffuso anticamente, quello di uscire la notte di Hosh’anà Rabbà alla luce della luna e vedere se la propria ombra rifletteva in uno specchio di acqua, questo era il segno attraverso il quale si poteva capire come si veniva giudicati per l’anno a venire. È antica consuetudine in molte Comunità fare un Tiqqùn, trascorrendo parte di questa notte a studiare Torah, a leggere Salmi e alcuni passi dello Zohar, suonare per sette volte lo Shofàr mentre si invocano i 13 attributi della Misericordia. Come quando c’era il Bet Hamiqdàsh, diversamente dagli altri giorni di Sukkòt, nella preghiera di domattina faremo 7 giri intorno all’altare in ricordo dei 7 giri fatti intorno alle mura di Gerico, che cadendo permisero agli ebrei l’ingresso in Eretz Israel. Chomot, mura, hanno in ebraico le stesse lettere della parola Chotam, sigillo. Il sigillo – giudizio è indissolubilmente associato alle nostra capacità di abbattere quelle mura, talvolta invisibili, che non ci consentono neppure di vedere le nostre mete. Hosh’ana Rabbà è conosciuta anche come Yom ha-Aravà, giorno del salice, perché al termine della preghiera di domani mattina si prendono 5 rametti di aravà, salice, legati da una foglia di palma e e si sbattono a terra per cinque volte consecutive. Il salice, tra le piante del Lulàv, rappresenta anche la bocca, come il mirto gli occhi, la palma la spina dorsale, e il cedro il cuore. Il fatto di concludere questo intenso ciclo festivo prendendo la sola aravà è un grande monito affinché dalle nostre bocche escano parole costruttive per ricominciare col piede giusto il nuovo ciclo di lettura e di studio della Torah.

Roberto Della Rocca, rabbino