Religioni e cibo, il confronto

“Religioni e Cibo” al centro di un confronto svoltosi all’Abbazia di Mirasole (Parco Sud Milano), promosso dal Gruppo di acquisto solidale di Opera assieme alla Fondazione Arca. Introdotti e moderati da Danilo De Biasio, direttore del Festival dei Diritti Umani di Milano e giornalista di Radio Popolare, si sono avvicendati negli interventi diversi ospiti. Tra gli altri la regista teatrale Miriam Camerini, che ha spiegato per sommi capi divieti e tradizioni della prassi religiosa ebraica.
Molti gli interrogativi quando si parla di cibo, è stato sottolineato nel corso dell’evento.
De Biasio ha rivolto a Camerini una delle domande “classiche” quando si parla di regole alimentari ebraiche: Il maiale è vietato perché non adatto a climi caldi? E i molluschi allora perché sono vietati? “Noi non siamo messi in questo mondo per prendere tutto ciò che vogliamo, farne rapina e razzia. Al contrario – la spiegazione dell’ospite – il cibo è fornito all’essere umano, ma gli viene anche richiesto di collaborare alla sua produzione, da Adam in avanti ‘Con il sudore della tua fronte mangerai il pane’ (Genesi 3:19) perché lo mangi consapevolmente e responsabilmente, ponendosi dei limiti, accettando il fatto che non tutto è a sua disposizione. Ogni creatura ha il suo cibo specifico e ciò che un ebreo o un’ebrea possono mangiare è diverso da ciò che mangiano altre persone. Kasher significa adatto e non vuol dire che il cibo non kasher sia meno buono o meno sano di quello kasher, semplicemente che è per altri. Maimonide scrive già nel XII secolo che l’atteggiamento giusto verso il cibo non kasher non dev’essere quello di trovarlo disgustoso, bensì quello di considerarlo semplicemente non per noi”.
Sollecitato circa la funzione educativa dei sacri testi intorno alle regole alimentari, Moscatelli riprende: “Dio pone Adam e Hava nell’Eden e per prima cosa concede loro di mangiare tutto ciò che desiderano, tranne il frutto proibito: la Bibbia si apre quindi con un invito a cibarsi limitato da un divieto: così vuole insegnare all’umano a riconoscere l’origine divina del cibo, a rendere grazie per il cibo, sì da non commettere rapina nel mangiarne senza aver ben presente l’origine di esso. Benedire Dio creatore di tutto è infatti prassi comune delle tre religioni riunite qui oggi.
“In quale misura il cibo può avvicinare?” domanda De Biasio. Risponde Camerini: “Il Seder, la cena di Pesach, per esempio, è narrazione. È uno stare a tavola dove la trasmissione della tradizione e la condivisione di una Storia sono affidate alla parole della Hagadah, alla musica che accompagna i testi ma anche al cibo e al vino che sono parte attiva e insostituibile della narrazione. Durante il Seder mangiare è precetto, è parte attiva del raccontare. Ogni famiglia ha le sue tradizioni e le dispute su chi sia il detentore della ricetta originale di un charoset, per esempio, non mancano. In questa maniera le generazioni si parlano: i nonni raccontano, i genitori insegnano, i figli domandano e, a volte, accolgono. Dialogare significa però necessariamente riconoscere, apprezzare e rispettare l’identità della persona che mi sta di fronte, porla davvero come altro da me e degna del suo spazio, come Eva è per Adam, ‘ezer kenegdo’, un aiuto che gli sta di fronte (o contro)” (Genesi 2:18): uno starsi di fronte riconoscendo ognuno lo spazio dell’altro, la sua identità e differenza. Solo le periferie possono venire in contatto, solamente con i miei confini io posso venire in contatto con l’altro”.
Ospiti del confronto anche Sumaya Abdel Qader, Consigliera comunale a Milano, e il teologo Luca Moscatelli.

(11 ottobre 2017)