Non voltiamo le spalle ai curdi

Tobia ZeviNell’estate del 2014 Daesh, che allora tutti chiamavano erroneamente Isis, era protagonista di un’avanzata inarrestabile. Forse sottovalutato, o invece sopravvalutato dai giornali, o semplicemente indecifrabile – uno Stato Islamico che cavalca il Medio Oriente in sella ai pick up! -, fatto sta che i miliziani nerovestiti conquistavano terreno, sgozzavano prigionieri, stupravano donne riducendole in schiavitù, impiantavano sistemi giuridici pre-medievali.
Erano arrivati a governare mezzo Iraq e mezza Siria, incuneandosi nei conflitti etnico-religiosi, nella sanguinosa guerra civile siriana, nell’eterna faida tra sciiti e sunniti e nei tentennamenti della coalizione occidentale. La Russia, a quel tempo, stava a guardare. Insomma, lo scenario pareva sonnacchioso e apocalittico nello stesso tempo, almeno per noi occidentali che intanto pensavamo anche un po’ alle nostre vacanze.
A un certo punto la linea del fronte slittò fino a Kobane, città vicino al confine turco in mano alle milizie peshmerga curde. In pratica, dopo Kobane c’era la Turchia, ovvero il confine est della Nato. E fu così che scoprimmo una storia di eroismo leggendario, ben lontana dall’immagine che avevamo dei curdi, gasati da Saddam Hussein e vittime predestinate di tutti i popoli della zona, ben felici di andare d’accordo solo nel perseguitare questa etnia. Scoprimmo le donne soldato di Kobane, sprezzanti del pericolo e liberatrici delle donne-schiave nei bordelli fondamentalisti al di là della linea del fuoco.
Può essere che della storia sapemmo solo ciò che volevamo sapere, ma fu una storia epica. Oggi sono passati tre anni, e per fortuna le sorti di Daesh sul terreno paiono radicalmente peggiorate, fino quasi alla sconfitta definitiva. Gli Stati Uniti sono scesi in campo e altrettanto ha fatto la Russia, saldamente guidata dai suoi interessi. L’esercito iracheno ha ripreso il controllo di larghe porzioni di territorio. Ma oggi quello stesso esercito, salvato allora dai curdi, attacca Kirkuk, città popolata dai combattenti di allora, rei di aver chiesto maggiore autonomia e federalismo con un referendum.
Bene fa Bernard Henry Lévy a scuotere il mondo: non possiamo voltarci dall’altra parte. Sia nel caso di un conflitto sia nel caso di un massacro. Mai dovremmo girare la nostra testa, ma ancor più di fronte al torto subito da chi ci ha salvato. Donne e uomini verso cui siamo debitori. È una questione di giustizia, è una questione di memoria.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas Twitter @tobiazevi