giusti…
Esistono due modi per essere giusti. C’è chi si concentra, si isola dal mondo per avere sempre presente l’idea di D.o. Che il mondo intorno a lui faccia quello che vuole, non lo smuove dai suoi inviolabili principi. È la persona tutta d’un pezzo, che punta alla sua crescita, al suo continuo miglioramento. C’è invece chi è portato dal suo rapporto con l’insegnamento divino a cercare il contatto con il mondo, per renderlo partecipe della sua esperienza, per far sì che altri lo seguano e a loro volta superino le loro negatività, le loro difficoltà, i loro limiti, e diventino giusti a loro volta.
Nòach era della prima categoria: era un fedelissimo esecutore della volontà di D.o, che aveva sempre con sé, come dice la Torah: “Eth haElokim hithhàllekh Nòach”, “insieme a D.o procedeva Nòach”. Esisteva tra Nòach e D.o un’intimità che escludeva gli altri.
Per Avrahàm il suo rapporto con D.o era subordinato alla possibilità di trasmetterlo anche a chi gli capitava. La sua ospitalità, di cui leggeremo fra due settimane, era uno strumento per parlare di D.o, e di fronte a questo l’esperienza mistica personale poteva e doveva essere accantonata. Ciò è chiamato nella Torah “procedere davanti a D.o”.
L’ascesi non è negativa; ma ciò che salverà il mondo è soltanto il portare i valori in mezzo alla gente.
Elia Richetti, rabbino