Identità – Dopo Bereshit, per completare la Creazione
Alfredo Mordechai Rabello riporta nel suo Introduzione al diritto ebraico (Giappichelli, 2002) un midrash ove si racconta di quando rabbi Akiva, incontrando un malato, gli indicò la direzione ove poter trovare un medico, accompagnando a tale informazione una berachah per una pronta guarigione. Un contadino che era presente apostrofò allora rabbi Akiva domandando come mai proprio un maestro interferisse con il volere del Signore, ovverosia operasse affinché una condizione da Lui voluta venisse contrastata con un intervento umano quale la pratica medica. Rabbi Akiva rispose facendo notare al contadino che, se si fosse seguito il suo ragionamento, egli stesso avrebbe dovuto poggiare lo strumento di lavoro che teneva in mano: se Dio avesse voluto farci trovare il prodotto della terra, sarebbe stato in suo potere farlo. Il contadino, dunque, sbagliava e tanto la tecnica adoperata per lavorare la terra quanto quella impiegata per intervenire sul corpo erano da leggere come interventi successivi alla creazione ex nihilo, prerogativa divina, atti a migliorare e completare tale creazione. Con tale midrash si intuisce l’intreccio di presupposti metafisici e aspetti halakhici. Se l’uomo è chiamato a completare e migliorare la creazione, principio sintetizzabile nel concetto di Tikkun Olam, ne viene che la tecnica, che si applichi sulla terra o sul corpo, è non soltanto permessa ma diviene mitzvah da perseguire. Mentre leggevo questi passaggi del testo di Rabello mi tornava in mente un articolo di Difficile Liberté (Heidegger, Gagarine et nous) in cui Levinas proponeva un’analogia tra ebraismo e tecnica: entrambi “demistificatori dell’universo”, momenti di emancipazione dall’idolatria della terra, ovverosia dall’idea che l’uomo debba essere subordinato alle ferree leggi della natura. Del resto l’opposizione al fatalismo è tratto caratterizzante del pensiero ebraico già nella sua radice biblica. Ora, però, l’opposizione a un atteggiamento fatalista, questo primato riposto sull’azione umana, su quali linee direttrici si svolge? Con quali finalità e limiti? Nella declinazione ebraica dell’umanesimo il primato della vita dell’uomo è dato, o comunque riletto, sulla base del principio per cui ogni essere umano è Be’Zelem Eloim, a immagine di Dio. Aspetti che hanno ricadute normative, come indagava Rabello nella sezione del suo testo dedicata alla bioetica (quando l’uso della tecnica, incoraggiato dal principio del Tikkun Olam, diviene non permesso perché va a ledere l’immagine di Dio, ovvero l’integrità del prossimo?) e che ripropongono in forme diverse il tema dell’abuso della tecnica, medica e non, quale si è espresso nel modo più radicale nella Germania nazionalsocialista.
Cosimo Nicolini Coen