La nazione senza terra
Il rifiuto del territorialismo è una cifra essenziale del Bund, l’Unione generale dei lavoratori ebrei di Russia, Polonia e Lituania di cui ha recentemente ricostruito la vicenda Massimo Pieri. Secondo i bolscevichi, con cui i bundisti vanno presto allo scontro, un territorio è indispensabile perché una comunità umana possa essere considerata gruppo a sé, e le venga dunque riconosciuto il diritto all’autodeterminazione. Si tratta, però, di una posizione difficile da accettare per gli ebrei, e dunque anche per gli ebrei socialisti rivoluzionari del Bund, che si considerano popolo nonostante la dispersione.
Non sarà forse il caso di considerare il popolo ebraico come un gruppo di individui legati primariamente non da un territorio (nessuno, neppure la Terra di Israele, che pure ha un significato peculiare ed essenziale) e tantomeno da una credenza, ma dal riconoscimento della centralità di una legge comune? E la comunità, di conseguenza, come una rete di molecole che si legano non a partire da un territorio ma da una legge, quella legge che non a caso la tradizione fa nascere durante il lento incedere durato quarant’anni nel deserto: spazio senza confini, terra senza territorio, superficie illimitata e indivisibile? Per la legge ebraica, legge del deserto, gli uomini non possono fare della terra un possesso perenne. La terra, per chiosare un titolo celebre di Abraham J. Heschel, è del Signore.
Giorgio Berruto, HaTikwà/Ugei
(26 ottobre 2017)