Pagine Ebraiche Ottobre 2017
Lettura, vaccino contro l’intolleranza

Nella sua celebre Blowin in the wind Bob Dylan si chiedeva “How many roads must a man walk down / Before you call him a man?”. Quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo? Forse anche l’ascolto di questa canzone potrebbe aggiungersi ai compiti affidati da un giudice della Virginia a un gruppo di giovani vandali che lo scorso anno avevano dipinto scritte razziste e svastiche sulla Ashburn Colored School, una scuola aperta nel 1892 per dare una istruzione ai bambini afroamericani. Il procuratore della contea Alex Rueda lo scorso febbraio ha deciso di punire i cinque responsabili, tutti adolescenti incensurati con la lettura di 35 libri legati ai diritti degli afroamericani, all’antisemitismo e alla cultura ebraica, alla parità di genere. Tra i titoli si trovano ad esempio La notte del Testimone Elie Wiesel, tre libri di Leon Uris (Exodus, Mila 18, Trinity), Danny l’eletto e Il mio nome è Asher Lev di Chaim Potok, La banalità del male di Hannah Arendt per citare quelli legati ai temi della Shoah e dell’ebraismo. Ma nell’interessante prova educativa del giudice americano ci sono anche libri come Ragazzo negro di Richard Wright o Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini.
Ogni mese, gli adolescenti devono presentare un resoconto di un libro
Devono anche scrivere un documento per spiegare il significato delle svastiche e dei simboli del suprematismo bianco. Nell’elenco delle cosa da fare, anche la visita al museo della Shoah e al museo di storia americana. L’auspicio, ha spiegato il procuratore Rueda, è che dopo quest’anno i ragazzi impereranno ad apprezzare le diversità di sesso, cultura, religione, e la tolleranza. “E poi quando saranno fuori nel mondo, saranno loro insegnanti”, l’idea del giudice.
E come ricordava il Guardian, anche in Italia un magistrato ha deciso di punire un colpevole con una lista di libri: un giudice di Roma ha infatti ordinato a un uomo condannato per favoreggiamento della prostituzione minorile (il caso legato al quartiere del Parioli dove due giovani si prostituivano in cambio di denaro e doni) di comprare 30 libri legati al femminismo alla giovane, “per farle capire il danno che le era stato fatto come donna”. Tra i libri indicati, uno della filosofa Adriana Cavarero che aveva commentato la vicenda sottolineando che forse sarebbe stato meglio affidare quelle letture al criminale. Valutazioni su chi debba leggere a parte, la domanda – soprattutto sul caso dei giovani vandali – che si pone è se effettivamente la cultura e la parola possano essere antidoto di fronte alla violenza delle diverse forme di estremismo. In una fotografia scattata a Parigini che ritrae uno dei luoghi che ricordano le stragi di Charlie Hebdo e dell’Hypercasher, spunta un pezzo di carta in cui si legge “Books. Not bombs”.
“Usare le parole – spiega a Pagine Ebraiche il critico letterario Goffredo Fofi mentre parla dell’ultimo libro di Frank Westerman I soldati delle parole – serve per farci vedere quello che non vogliamo vedere, per raccontare i diversi mondi che dobbiamo affrontare nel modo più efficace possibile”.
Leggere passato e presente degli altri aiuta a capirli ma quanto aiuta ad evitare che diventino violenti? “Tutto ha un passato. Tutto – una persona, un oggetto, una parola, tutto. Se non conosci il passato, non puoi capire il presente e non potrai pianificare nel modo giusto il futuro”, recita uno dei passaggi del citato Danny l’eletto di Chaim Potok. La conoscenza, dicono i dati, effettivamente aiuta a valutazioni più critiche e meno legate al pregiudizio: si vedano le elezioni in Germania, dove Alternative fur Deutchland ha fondato la sua campagna elettorale sulla retorica anti-immigrati e sulla richiesta di istituire maggiori controlli alle frontiere: curiosamente, però, l’AfD è andata meglio nelle aree del paese dove negli ultimi danni sono arrivati meno migranti. Il sistema tedesco, infatti, distribuisce i richiedenti asilo sulla base della popolazione e del reddito imponibile. Le aree più ricche del paese, quindi, ricevono in proporzione più migranti di tutte le altre. Secondo gli ultimi dati, per esempio, più del 50 per cento dei richiedenti asilo è stato ospitato in tre soli Lander: Baviera, Baden-Württemberg e Nord Reno-Westfalia, dove AfD non ha ottenuto risultati particolarmente buoni.
La Sassonia, dove AfD è andata molto bene, è invece la regione ad aver ospitato il numero più basso di richiedenti asilo di tutto il paese. Nella zona tedesca che fatica di più economicamente, paura e rabbia hanno trovato – sembrano dire i numeri – facile sfogo nell’odio contro gli immigrati anche se meno giustificato, visti i citati dati sull’accoglienza. Anche in questo caso a fare da miccia sono state le parole: soprattutto quelle false. Un’analisi del Washington Post rivelava come l’AfD sia stato il partito che ha saputo catalizzare meglio l’attenzione sui social network e tra le sue armi, la condivisione di notizie false o parzialmente tali sui migranti.
Come rispondere a questo uso distorto delle parole? Con informazioni chiare e con l’ironia, suggerisce Erin Marie Saltman, ricercatrice che in un recente Ted Talk è salita sul palco per parlare di “How young people join violent extremist groups — and how to stop them”. Saltman racconta di alcuni progetti messi in piedi sui social network in cui si chiede a tutti coloro che sanno fare comunicazione – artisti, scrittori, giornalisti, videomaker, comici – di produrre materiali che spieghino la realtà delle cose e che mettano in ridicolo i pregiudizi.
Questi materiali, spiega la ricercatrice parlando nello specifico di Facebook, vengono poi indirizzati al pubblico specifico, individuato come più sensibile alle fake news. “Abbiamo ottenuto risultati positivi”, afferma Salman.  

Dossier Che razza di parola, Pagine Ebraiche ottobre 2017

(26 ottobre 2017)