Primo Levi e la voce del sacro
“Fioca e un po’ profana. La voce del sacro in Levi”. Questo il tema della nona Lezione Primo Levi, un appuntamento che ormai si è fatto consuetudine, un’occasione preziosa di studio e di approfondimento ogni anno diversa, come diverse sono le prospettive da cui si può osservare il corpus leviano. Al tavolo dei relatori Paola Valabrega, insegnante, il cui studio su Levi ha preso il via con la stesura della sua tesi di laurea, discussa con Guido Davico Bonino nel 1982. Altra voce quella di Alberto Cavaglion, insegnante e curatore per il Centro Primo Levi dell’edizione commentata di Se questo è un uomo (Einaudi, 2012). Ad aprire l’incontro i saluti di Fabio Levi, direttore del Centro Primo Levi e di Ernesto Ferrero.
Il sacro e il profano secondo le lenti di Primo Levi: dove si possono trovare tracce di questi due elementi nelle sue opere? Qual è l’approccio di Levi rispetto alla scrittura biblica? Quanto e in che misura la mente di chimico illuminista ha lasciato spazio alla trattazione di argomenti apparentemente così distanti? Come risolvere il conflitto tra la libertà di spirito e il destino? Questi e molti altri sono i punti di domanda che si sono posti i relatori.
Fioca e un po’ profana è la voce di Levi quando si confronta con la Scrittura biblica e, in generale, con le tradizioni del popolo ebraico, spiegano i relatori. Tuttavia, specificano, questa nona Lezione non si propone naturalmente di risolvere il complicato rapporto tra lo scrittore e l’Ebraismo, vorrebbe semmai osservarlo da un’angolatura insolita.
Tre i luoghi principali dove risuona la voce «fioca e un po’ profana» del sacro, specifica Cavaglion: l’inizio e la fine del capitolo Il canto di Ulisse in Se questo è un uomo e nella sua interezza il racconto Carbonio nel Sistema periodico.
Fioco traduce l’arcaico foible di Voltaire nella Pulzella d’Orléans, e non a caso è la citazione con cui si apre Carbonio. Profano invece, spiega Valabrega, sta per dilettante, “colui che fa le cose per gioco”. Profano si lega ad un altro termine: la parodia. L’uso parodico, sempre un po’ profano, della preghiera ebraica (e non solo) è piuttosto frequente, commenta Cavaglion: la poesia collocata in epigrafe a Se questo è un uomo è un caso clamoroso. Lo scrittore amava imitare la voce altrui: poeti antichi, scrittori moderni, ma soprattutto versetti biblici. Un metodo, prosegue Cavaglion, che Levi apprende da Dante, per cui la preghiera si può imitare solo se capovolta.
Opposto il significato che Levi associa al concetto di sacro. Sacro come imperativo etico, continua Valabrega, “l’uomo deve essere sacro all’uomo “, come scrive Levi in Pagine Sparse. Il sacro poi lo si ritrova anche nelle due anime di Primo: nella ritualità del lavoro di chimico e nella sacralità di mettersi alla scrivania e darsi alla scrittura. L’elemento dell’imitazione di versetti biblici o della stessa Divina Commedia passerà in secondo piano per poi tornare a metà degli anni Settanta con la stesura del Sistema Periodico, in particolare in Carbonio dove dal folle volo di Ulisse si passerà al folle volo di una particella. Qui fa capolino la trattazione del destino della materia, apparentemente un discorso ossimorico nella mente di uno scienziato. Ma in questo testo l’atomo rappresenta l’elemento vitale che continua ad esistere.
Dalla scienza come dalla letteratura Levi ricava suggestioni, in un continuo rimpallo tra sacro e profano, tra il destino e la libertà di spirito.
Alice Fubini
(26 ottobre 2017)