Donne per la pace,
senza etichette
In una serata triste e nebbiosa, mentre Torino era più cha mai soffocata dallo smog, è stato quasi un sollievo fisico assistere alla presentazione (la prima ufficiale in Italia) del movimento di donne israeliane e palestinesi Women Wage Peace – Nashim osot shalom (le donne fanno la pace). La manifestazione concreta di una speranza che si accende, forse per qualcuno inattesa. Foto e video che mostravano, nella luce accecante del deserto del Negev, un fiume di donne vestite di bianco e di turchese (i colori del movimento) che sfila, canta e balla in mezzo all’oro della sabbia. Donne che sorridono, si abbracciano, camminano insieme. Così, tra racconto, video e immagini, l’artista e scrittrice italo-israeliana Shazarahel ha portato la propria testimonianza sul grande evento che si è svolto in Israele dal 24 settembre al 10 ottobre, con donne che hanno percorso il paese da sud a nord, da ovest ad est, fino all’arrivo a Gerusalemme, dove il fiume umano si era ingrossato e risultava ancora più imponente (si parla di 30000 persone).
Moderata da Bruna Laudi, presidente del Gruppo di Studi Ebraici di Torino, la serata ha poi visto l’intervento di Sarah Kaminski – che ha contribuito a mettere a fuoco il contesto della società israeliana in cui il movimento si sviluppa – e molte domande dal pubblico, riguardanti una grande varietà di temi, dagli aspetti pratici dell’organizzazione della marcia alla risonanza sui mass media. Shazarahel non ha nascosto i problemi; primo tra tutti, ed evidente anche nei filmati, la scarsa presenza nel movimento di donne ebree religiose (viceversa, tra le donne musulmane di WWP la componente religiosa appare decisamente maggioritaria). Tuttavia non mancano eccezioni, tra cui tra cui la stessa Shazarahel (che è osservante e vive in un moshav religioso); in particolare è molto significativo – come è stato sottolineato anche da Sarah Kaminski – l’appoggio al movimento di una personalità come Adina Bar-Shalom, la figlia di Rav Ovadia Yosef, nota attivista per i diritti delle donne. E anche i personaggi della politica che si sono espressi in favore di WWP appartengono a differenti partiti.
La forza del movimento sta appunto nel suo essere trasversale, non ingabbiato negli schieramenti e negli schemi tradizionali, non facilmente etichettabile. Una sfida affascinante per la società israeliana, in cui – come stato messo in evidenza in più interventi – le diverse componenti hanno scarse occasioni di incontro e conoscenza reciproca. Una sfida forse ancora più difficile per noi ebrei italiani (ma non credo che altrove sia meglio) che, pur dovendo convivere con i nostri piccoli numeri, amiamo crogiolarci nelle etichette e negli eventi a partecipazione parcellizzata. Saremo capaci di accogliere la sfida di avvicinarci trasversalmente a un movimento trasversale o finiremo per ingabbiarlo nelle nostre etichette?
Anna Segre, insegnante
(27 ottobre 2017)