Vincere gli stereotipi
Qualche settimana fa mi sono recato in un campo nomadi nei dintorni della mia città, come parte di un progetto documentario che io e un amico ci proponiamo di intraprendere a breve tra l’Italia e i Balcani sui Roma e su altre minoranze. Discorrendo con un sacerdote che vive nel campo nomadi (totalmente abitato da musulmani) con la sua roulotte da oltre vent’anni, riflettevamo che per le istituzioni e la società civile un Rom viene accettato solo se cessa di essere tale. Ciò vale per tutti coloro che sono etichettati come “diversi” dalla maggioranza, anche Karl Marx sosteneva nella “questione ebraica” del 1843 che gli ebrei avrebbero dovuto emanciparsi dall’identità e dalla religione ebraica, non tenendo in considerazione che questa uguaglianza non sarebbe altro che assimilazione culturale.
Le villette a schiera in stile toscano costruite all’interno del campo dalle amministrazioni locali sono il tentativo di questa trasformazione, l’autostrada che costeggia le case è invece l’emblema dell’ingiustizia ambientale. Questo termine deriva da un rapporto del 2007 siglato da alcune organizzazioni ambientaliste – il titolo è “ Making the case for environmental justice in central and eastern Europe” – nel quale spiega come specie nell’Europa orientale ma non solo, questo popolo venga segregato o ricollocato forzatamente in aree inabitabili o gravemente inquinate, come industrie o miniere dismesse, discariche, zone soggette ad inondazione o in quartieri isolati privi dei servizi essenziali, risorse, acqua pulita o rete fognaria, spesso in prossimità di strade di grande circolazione. Casi come quello di Mitrovica in Kosovo o di Pata Rat in Romania sono soltanto alcuni tra i molti, e tattiche marginalizzanti analoghe sono riscontrabili anche per altri gruppi etnici, specie nel sud del mondo. Nel dibattito politico e civile i campi nomadi sono percepiti più volte come sinonimi di discariche, il termine “pulizia” è quello più usato per descrivere l’unico “metodo risolutore” di questa problematica, poco importa se molto spesso sono g
li stessi non-rom a creare tali dinamiche. Lo stereotipo rimane sempre quello che i Roma siano un gruppo etnico con una scarsa coscienza ambientale.
Adottando concetti post-strutturalisti dovremmo sostenere che siamo noi che con i nostri criteri costruiamo alla pari di un testo un gruppo etnico, e quindi anche la sua percezione sociale. L’altro esiste comunque oltre noi, ma sovente tendiamo a concepirlo, e nel peggiore dei casi a trasformarlo, per quello che realmente noi vogliamo che sia.
Francesco Moises Bassano
(27 ottobre 2017)