Abramo…
Se oggi si facesse un sondaggio tra gli ebrei italiani su che tipo di comunità si vorrebbe l’aggettivo più gettonato sarebbe probabilmente “accogliente”.
Ancor più di una comunità viva culturalmente e religiosamente, solidale e portatrice di valori nella società in cui viviamo, la parola “accoglienza” sembra essere diventata il requisito primario a cui dovrebbe uniformarsi una leadership comunitaria. In molti nostri dibattiti si sente invocare l’“accoglienza” come se la comunità fosse un hotel con i suoi anfitrioni addetti ad accogliere gli ospiti, e come se l’“accoglienza” non fosse, piuttosto, un dovere primario di ciascun ebreo. Lot, il nipote di Abramo, è l’antesignano dell’“ebreo lontano” che si stacca coscientemente dallo zio, privilegiando un modello di vita diverso, anteponendo la dimensione del calcolo utilitaristico allo sviluppo dell’essere indicatogli dal Maestro (Bereshìt, 13; 11). Eppure l’“accogliente” Abramo, colui che più di ogni altro lancia il progetto fratellanza con ogni individuo, si mostra assai risoluto nei confronti del suo consanguineo. Il distacco è senza pathos e anche senza alcuna condanna. Perché Abramo, così altruista, sempre preoccupato per il bene del prossimo, sembra non perseguire alcun tentativo di riunificazione con il suo discepolo? Perché non cerca di convincerlo a restare con lui e a condividere il suo progetto? Forse perché quando si mette a fuoco che le persone a noi più vicine e di cui ci preoccupiamo maggiormente compiono scelte di vita assolutamente contrastanti e incompatibili con le nostre è preferibile lasciarle andare. Non possono esserci compromessi e accomodamenti quando le scelte di vita divengono inconciliabili. Nonostante la sofferenza che questa separazione ci procura dobbiamo rispettare la libertà di ciascuno pur assicurando la nostra disponibilità a mettere in salvo quelle potenzialità che probabilmente riemergeranno in un tempo lontano. Quando Lot, il discepolo che si allontana, diviene “prigioniero” dei nemici della Torah, Abramo rischia la sua stessa vita per salvarlo, mettendo in gioco se stesso e la sua scuola per liberarlo dalla prigionia. Abramo, il primo ebreo, ci insegna che un leader non è un missionario, ma un Maestro che deve aiutare ad assumere la responsabilità delle proprie libere scelte e delle loro conseguenze.
Roberto Della Rocca, rabbino