NARRATIVA Europa, il romanzo nella casa comune
Robert Menasse / DIE HAUPSTADT / Suhrkamp
E chi lo nega, c’è la crisi dei nuovi nazionalismi e l’avanzata dei populismi, c’è la Brexit, la lacerazione catalana, la ferita del terrorismo. Ma l’Europa va avanti. E continuerà la sua corsa fino a realizzare il suo più alto, ancora solo timidamente confessato ideale: quello di superare gli Stati nazionali e i loro venefici influssi, quello di essere la casa di tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo e quello di essere il territorio di incontro di tutte le identità e di tutte le minoranze. A dirlo chiaro non è Emmanuel Macron, e nemmeno Angela Merkel. Ma un romanzo di oltre 500 pagine che sarà il caso letterario del 2018 e che porta la firma di un ebreo viennese. Con Die Hauptstadt (La capitale) lo scrittore austriaco Robert Menasse ha conquistato di slancio l’ambito Deutscher Buch Preis, il premio che il consorzio degli editori e dei librai tedeschi assegnano al miglior romanzo dell’anno in occasione della Fiera del Libro di Francoforte. Ha anche scritto il primo grande romanzo che mette l’Europa che cresce sotto ai nostri occhi al centro di un’opera letteraria. “Il libro – spiega Sabine Peschel di Deutsche Welle – è al tempo stesso una satira, un giallo e un’analisi, e inoltre una requisitoria per un’Europa al di là degli egoismi nazionali”. La regola del gioco sta affissa sulla scrivania di Menasse da alcuni anni. È una lezione di Balzac: “Racconta le cose in maniera che i tuoi contemporanei ci si riconoscano e in maniera che quelli che verranno dopo possano comprendere”. Il modello è evidentemente quello della grande letteratura viennese del Novecento, e in particolare dell’Uomo senza qualità di Robert Musil, il racconto oceano dove si intrecciando i destini di innumerevoli e disparati personaggi mentre si segna il destino dell’Europa. Nella Bruxelles della burocrazia europea – che Menasse ha voluto osservare da vicino prima di mettersi a scrivere, trasferendo temporaneamente la propria residenza nella città belga – non si muovono come sembra solo irritanti e inutili burocrati. Ma si scrive un processo inarrestabile di unificazione. E Menasse non nasconde il suo ottimismo. L’Europa unita si farà nonostante i profeti di sventura e porterà stabilità e tolleranza. Allargherà i suoi confini, garantirà la pace in Medio Oriente e la convivenza fra i popoli. Il pluralismo e la democrazia. Gli intolleranti saranno infine sconfitti. Ma intanto l’apparato dell’Unione europea è fatto di persone che l’autore chiama fuori dall’ombra. E il romanzo si snoda sulle loro vicende, le loro speranze, le loro cadute. Si cerca una capitale. Si guarda ad Auschwitz per dire che è da lì, da quell’abisso che l’Europa deve ripartire. E ci si perde, mentre la vita quotidiana e un delitto misterioso contribuiscono con mille diversi affluenti a riempire il corso contraddittorio del grande fiume del racconto. Il lettore si scopre infine dentro le vicende con il proprio quotidiano. Gli attentati, la crisi, le elezioni, le delusioni della politica. Il libro scorre senza impedimenti per centinaia di pagine mentre la clessidra della lettura si esaurisce prima del previsto. E Menasse lascia il lettore senza una soluzione ma con una risposta: dell’Europa non possiamo fare a meno, diamo tutti una mano, a cominciare da noi ebrei, per costruirla nel modo migliore, impegniamoci a fare grande la sua capitale. E lasciamoci alle spalle senza farci suggestionare tutti i perdenti, che negando la crescita europea certo costituiscono una minaccia, ma finiranno presto o tardi al margine della storia. I romanzi, per quanto lunghi, finiscono; e se appassionanti ci sbalzano ancora storditi nuovamente nel nostro quotidiano. Ma il meccanismo tanto collaudato dalla grande letteratura trova in Menasse una formula nuova e il lettore viene sbalzato in un quotidiano che è molto più appassionante di quando non ci fossimo resi conto.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche, novembre 2017