Torino, il ricordo di Cesare Jarach
Un economista nella Grande Guerra
“Non pare possibile, a un secolo di distanza, calarsi nei panni di chi, trovandosi nel mezzo del cammino della sua vita negli anni della Grande Guerra, decise, per amor patrio, di calarsi nell’inferno. La distanza irriducibile che ci separa da quei giorni ed esclude ogni immedesimazione è forse appena sufficiente a consentire – oggi, nel momento in cui malintesi conflitti economici e nazionalismi tornano a minacciare la pace in Europa – uno sguardo veramente storico su quella catastrofe generazionale che fu il ’15-18”.
Queste le prime righe della prefazione, scritta da Manuel Disegni, al volume Cesare Jarach, un economista ebreo nella Grande Guerra (ed. Zamorani), presentato nei locali della Comunità ebraica di Torino in occasione del centenario dalla sua scomparsa. Al tavolo dei relatori il Professore di Scienza delle finanze Francesco Forte, autore della sezione “Cesare Jarach economista”, accanto ad Alberto Cavaglion, docente di storia presso l’Università di Firenze e autore di importanti studi sulla partecipazione degli ebrei alla prima guerra mondiale. A moderare l’incontro Gadi Luzzatto Voghera, Direttore del CDEC. In apertura inoltre un saluto di Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica torinese.
“Jarach – la sua riflessione – fu emblema di quella generazione di giovani ebrei italiani che partirono per la prima guerra, mettendosi in gioco in prima persona. Questo volume è una sorta di riparazione a 100 anni dalla sua scomparsa”.
Chi era Cesare Jarach? Nato a Casale Monferrato nel 1884, apparteneva a quella generazione di ebrei italiani “ormai giuridicamente emancipati”, sempre dalla prefazione, per i quali si trattava di concretizzare le conquiste storiche del Quarantotto guadagnandosi riconoscimento sociale sostanziale e allontanando da sé millenari sospetti e il persistente stigma della doppia fedeltà, per cui: italiani, sì, ma in verità, nel loro intimo, fedeli al popolo d’Israele, al suo Dio e alle sue leggi”.
Era quindi ebreo, cittadino italiano, dottore in giurisprudenza, economista e allievo di Luigi Einaudi. Una personalità poliedrica, intrisa di un amor di patria che lo portò prima a rivestire cariche pubbliche, fu infatti nominato a ventitre anni delegato tecnico della commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di vita contadine nel Mezzogiorno, e poi a scegliere di arruolarsi e sacrificare la propria vita il 2 novembre 1917, durante la Nona battaglia dell’Isonzo.
La stesura e la pubblicazione del volume nascono proprio dalla volontà dei discendenti di Jarach di ricostruire il profilo storico di una giovane personalità del secolo scorso, di riempire una lacuna nelle memorie personali prima, e poi nella memoria collettiva. Occasione questa anche per riflettere ampiamente sul sentimento di patriottismo che animò molti giovani e meno giovani come Jarach, eredi del Risorgimento Italiano. Lo stesso Gadi Luzzatto Voghera ha parlato di un elemento che accomuna i vari documenti storici legati alla Grande Guerra: “Si tratta di una specifica forma di retorica che va interpretata come un qualcosa di profondamente vissuto”. “Il soggetto di cui occuparsi”, continua, “ è sì la guerra, ma affiancata al concetto di cittadinanza che c’era in quell’epoca, che ad oggi risulta per lo più liquefatto”.
È poi Francesco Forte a tracciare il profilo di Jarach economista sì, ma con una spiccata tendenza verso l’analisi sociologica della realtà italiana in cui era immerso. “Numeri conditi di scienze sociali”, afferma Forte. “Un’analisi sociologica che si basava su pochissime osservazioni e molti fatti”. Una tra tutte, l’indagine parlamentare sulle condizioni dell’Abruzzo che il giovanissimo Jarach intraprese con assoluta dedizione. Da questa indagine emergono concetti tutt’ora centrali: il ruolo del capitale umano, delle infrastrutture e della mobilità. “Un’indagine paziente e profondamente attuale nei suoi fondamenti”.
Alberto Cavaglion definisce la pubblicazione del volume come gesto riparatore, un gesto che andrebbe fatto per tutti i caduti della Grande Guerra. La sua analisi si concentra non tanto sul concetto di cittadinanza, quanto sull’idea di nazione. Che idea di nazione avevano gli ebrei italiani prima del fascismo? La risposta che si dà Cavaglion è racchiusa nel concetto di “patriottismo del paesaggio”, presente sia in Jarach sia a livelli più bassi tra gli ebrei italiani che avevano vissuto il Risorgimento per cui il paesaggio italiano si fondeva con l’idea stessa di patria. Una condizione e un senso di integrazione quindi giunti all’apice, per poi precipitare miseramente con la promulgazione delle leggi razziste. Dopo il 1938 e dopo la Shoah cambia inevitabilmente l’idea di nazione: non si può più contribuire tutti a un’Italia unità e l’identità ebraica non può che riformarsi partendo da una diversità.
Alice Fubini
(7 novembre 2017)