Bioetica ebraica
Domani si svolgerà, presso la bellissima Università di Ferrara – un Ateneo a cui mi sento legato, da molto tempo, da profondi legami di amicizia, colleganza, sintonia spirituale e culturale, e che si segnala come una punta di eccellenza sul piano accademico internazionale, in particolare nel campo delle scienze umane e giuridiche – un incontro di alto interesse, organizzato da Enrica Martinelli e Simonetta Della Seta, dedicato alla bioetica ebraica. Accanto a relatori di assoluto prestigio – quali i rabbini Luciano Caro, Gianfranco Di Segni, Riccardo Di Segni e i professori Silvio Ferrari, Roberto Mazzola, Piero Stefani, Avraham Steinberg (che affronteranno, da diverse angolazioni, varie tematiche, tutte di grande attualità e importanza) -, e al sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, al magnifico rettore, Giorgio Zauli, al direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Giovanni De Cristofaro e al presidente del MEIS, Dario Disegni, gli organizzatori hanno avuto la temeraria amabilità, evidentemente per motivi di amicizia, di invitare anche il sottoscritto, certamente un dilettante in materia. Pur alquanto intimidito dal livello dei correlatori, ho accettato con piacere, rinunciando ad altre incombenze, in quanto la bioetica, da diversi anni, rappresenta uno dei miei principali interessi di studio (e la bioetica ebraica, segnatamente, un terreno di investigazione e ricerca particolarmente affascinante e suggestivo). Ma in realtà vado principalmente ad ascoltare e ad imparare, non ho proprio niente da insegnare a nessuno, al di là di un’infinita serie di punti interrogativi. Ma – lo dico, probabilmente, anche per autoassolvermi – la bioetica è, per definizione, il terreno delle domande, più che delle risposte, dei dubbi, più che delle certezze. Chi può dire con sicurezza quale sia il posto e il ruolo dell’uomo nel creato, quali i suoi diritti e i suoi doveri verso se stesso, i suoi simili, i soggetti deboli? Quali le sue responsabilità verso i cd. animali subumani, la natura, i nascituri, le generazioni future, la memoria di quelle passate? Se l’uomo non è più il re del creato, ciò comporta un aumento o una diminuzione dei suoi doveri verso gli altri esseri senzienti? E in che misura esistono, in natura, dei veri e propri ‘diritti’? Quali limiti possono essere posti alla scienza e alla tecnica? Chi ha il potere di porli? Ma ancora: la vita può essere intesa, oltre che come un diritto, anche come un dovere? E soprattutto: chi, nelle innumerevoli “tragic choices” che possono presentarsi, e dalle quali passa il sottile confine tra la vita e la morte, ha l’ultima parola, il terribile potere di decidere?
Come ho già avuto modo di dire, ripetendo quanto insegnatomi dal mio Maestro “de Iudaicis rebus”, Alfredo Mordechai Rabello, la speculazione sapienziale rabbinica si presenta, su questo terreno, una fonte inesauribile di spunti e sollecitazioni etiche e culturali, essenzialmente per due ragioni: la millenaria tradizione di libertà intellettuale e dialettica culturale che contraddistingue il pensiero ebraico, alieno, da sempre, a qualsiasi forma di imposizione di ‘verità’ calate e imposte dall’alto; l’intrinseca impostazione del diritto ebraico quale sorgente di doveri, e non di diritti. E se le tradizioni giuridiche occidentali – tanto di Civil Law quanto di Common Law -, da sempre costruite sui concetti ‘totem’ di ‘persona’ e “soggetto di diritto”, sono oggi in evidente affanno, di fronte al progressivo e apparentemente inarrestabile sgretolamento di tali presupposti, la fioritura di senso dell’halachah pare stagliarsi, sempre di più, e per tutti, come un imprescindibile faro di indirizzo e orientamento.
Ma è un faro, a mio avviso, particolare, nel senso che non indica la rotta, le direzioni e i punti di approdo, ma ammonisce, essenzialmente, a non smarrire mai, nel corso della navigazione, la bussola della morale, di un parametro decisionale che non si arresti mai alla sola utilità pratica, al mero egoismo individuale; a non dimenticare mai il significato e la forza dell’arcano richiamo: “Adamo, dove sei?”. Il comandamento ‘principe’ “scegli la vita”, com’è noto, non è di univoca interpretazione, e va declinato, nei vari contesti, in modo sempre diverso. Il problema principale, a mio avviso, al giorno d’oggi, non è tanto quello di definire cosa sia, in concreto, la vita, ma di capire di quali contenuti essa possa o debba essere riempita: di quale rapporto si possa cercare di costruire tra la parola ‘vita’ e parole quali ‘libertà’, ‘dignità’, ‘dolore’, ‘amore’, ‘solitudine’, ‘futuro’. Di come fare scendere l’uomo dal perfetto cerchio e quadrato al cui centro, come centro dell’universo, lo aveva posto Leonardo, e di quale nuova collocazione dargli sulla nuda terra, accanto a tutte le altre creature viventi e senzienti, con le quali e fra le quali nasce, cresce, soffre, muore. E penso – come, forse, cercherò di dire ai miei ascoltatori – che nuove risposte a tali domande, oltre che sui terreni della scienza, della filosofia e della religione, possano e debbano essere cercate sul piano dell’arte, chiamata, da sempre – là dove la si ferma la ragione – a esprimere e interpretare il mistero dell’esistenza.
Francesco Lucrezi, storico
(8 novembre 2017)