Ticketless – Grande Guerra
La prima osservazione che viene spontaneo – anzi doveroso – formulare, leggendo testimonianze e saggi interessanti come quelli raccolti nel volume di atti Gli ebrei italiani nella Grande Guerra (1915-1918), a cura di Caterina Quareni e Vincenza Maugeri (Giuntina) riguarda il perché di un così lungo, troppo silenzio sulla partecipazione ebraica alle diverse anime dell’interventismo, alle sue motivazioni politiche o culturali. Dopo il trauma del fascismo, le leggi razziali e la Shoah quella memoria è totalmente svanita. C’è da chiedersi perché. Nelle sue “memorie di vita ebraica”, lo stesso Augusto Segre ha pagine severe sul patriottismo dei suoi concittadini casalesi italiani. È come se quelle figure, nel secondo dopoguerra, nella copiosa memorialistica, fossero sparite dai nostri orizzonti, come del resto erano spariti i protagonisti del Risorgimento, per lo meno fino al rapido, davvero troppo rapido e sorprendente risveglio della migliore storiografia progressista in occasione del 150.mo anniversario dell’Unità nel 2011. Qualche cosa, con lentezza, dopo il 2011, per fortuna si è rimesso in moto.
Il primo responsabile di questo silenzio è stato senza dubbio il fascismo, che avendo voluto assumere su di sé la memoria della Grande Guerra ha finito con il corromperla. Non è stato però soltanto il regime di Mussolini a rendere lontane da noi quelle memorie, sarebbe troppo bello fosse csì. Fra il 25 aprile 1945 e i nostri giorni il tempo per ripensare al nazionalismo ebraico dell’Ottocento non è mancato. L’imbarazzo derivava dal nostro modo unilaterale e, in fondo, ingrato di ripensare ai nostri bisnonni in trincea come a inconsci precursori del nazionalismo fascista. È come se fossero morti invano, loro che, fino a prova contraria, a differenza di chi magari li criticava, il fascismo non lo avevano potuto conoscere. Gli stessi ebrei italiani hanno avuto verso i caduti della Grande Guerra una non minore responsabilità. L’idea che in quei mesi l’ebraicità sia stata subalterna all’italianità era (e temo sia ancora) non facilmente digeribile.
Alberto Cavaglion
(8 novembre 2017)