Bioetica, una prospettiva ebraica
“Un evento di grandissima rilevanza culturale e scientifica, che pone Ferrara quale punto di incontro e dialogo tra studiosi provenienti da paesi e culture diverse, ed esprime in modo emblematico l’orientamento a creare forti sinergie tra le più prestigiose e autorevoli istituzioni ferraresi, per dare vita a iniziative di respiro internazionale”.
Sono le parole con cui stamani Giovanni De Cristofaro, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Ferrara, ha aperto i lavori del convegno “Questioni bioetiche e diritto ebraico”, promosso nell’ambito del Corso di Diritto e Religione di Unife, con la collaborazione del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS.
Nell’Aula Magna del Dipartimento, il Sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, ha poi sottolineato che “è tanto più importante che la città aderisca in maniera convinta a iniziative come questa, ora che le nostre comunità sono attraversate da elementi di provocazione e sfida nuovi, coinvolgenti al di là della ricerca accademica. Penso innanzitutto alle grandi migrazioni, che mettono a confronto realtà anche piccole con distanze culturali non sempre facilmente riconducibili a una conoscenza di fondo in tempi rapidi. La comprensione del fenomeno è urgente e il pensiero ebraico aggiunge un contributo essenziale”.
“Anche perché oggi è entrato in scena un soggetto ulteriore, la téchne – ha proseguito Tagliani –, ovvero l’industria e la ricerca non solo speculative, ma applicate, legate a proiezioni di business, che nel bene e nel male ci portano ad ampliare la riflessione su temi quali la conoscenza e la manipolazione del nostro DNA e la struttura della vita, contemplando le ragioni etiche e le cornici di carattere giuridico. E credo significativo che il convegno si svolga a Ferrara, visto che la nostra città, col MEIS, accetta la sfida di confrontarsi con una cultura, un popolo, un libro e un’esperienza che continuano a dare un apporto straordinario alla storia dell’uomo”.
E proprio in rappresentanza del Museo è intervenuta la Direttrice Simonetta Della Seta, evidenziando come l’incontro abbia catalizzato nel capoluogo estense autorevoli studiosi da tutta Italia e da Israele. “Ferrara ha grande consapevolezza dei valori ebraici e del fatto che l’ebraismo è una cultura dedicata alla vita. Non a caso, tanti studiosi di ebraismo e rabbini sono stati e sono dei medici. Nel Deutoronomio – ha evidenziato Della Seta – si dice ‘rincorri la giustizia’. Penso si possa dire che l’ebraismo cerca di occuparsi della vita in un contesto di giustizia, come già fece, ad esempio Isacco Lampronti: medico, rabbino e talmudista di fine ’600, che ha lasciato alcuni scritti fondamentali sui quali ancora gli studiosi si cimentano, lavorando sul crinale della bioetica”.
A presiedere la prima sessione, Luciano Caro, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Ferrara, che ha affermato: “La cultura e la dottrina ebraiche sono sempre state attente all’importanza della vita e agli impatti della tecnologia e della scienza sulla società, indagando le nuove frontiere con originalità, senza mai tralasciare il filtro della tradizione e della nostra etica. L’essere umano è considerato socio del Santo benedetto nell’opera della creazione, collaboratore di Dio, e come tale deve percepire il senso della propria responsabilità nei confronti del creato”.
Ad aprire il panel delle relazioni, Rav Avraham Steinberg, Direttore della Medical Ethics Unit, Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, e Co-Chairman del Consiglio Nazionale Israeliano di Bioetica, nonché padre dell’Enciclopedia di Etica Medica Ebraica. Steinberg ha approfondito la dinamica “Jewish vs Secular Medical Ethics” a partire dal background storico dei principi medici da Ippocrate e facendo riferimento al testo biblico e alla letteratura post-biblica, per soffermarsi quindi sulle definizioni di etica, di etica medica e di etica medica moderna, quest’ultima connotata dall’adozione di approcci multidisciplinari, pluralistici, basati su medicina, filosofia, diritto, parte.
Nel percorso delineato da Rav Steinberg è emerso come l’etica medica ebraica comporti di trovare la giusta via di mezzo tra polarità e si discosti da quella secolare rispetto alla gamma delle questioni focalizzate, ai metodi di analisi (applicazione dei principi enunciati nel Talmud), all’obiettivo di giungere a conclusioni finali e operative, quando l’osservanza della legge entra in conflitto con la medicina, e ai principi fondamentali, ad esempio se e come trattare un paziente nel giorno di Shabbat.
“La bioetica ebraica su alcuni temi di dibattito attuale” è il titolo del contributo offerto da Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma, medico e chirurgo fino al 2014. “Come vengono trasmessi e utilizzati dal pubblico i ragionamenti che si fanno sulla bioetica, i suggerimenti o le istruzioni pratiche di comportamento che il membro della comunità chiede? Spesso si tratta di problemi pratici – ha segnalato Di Segni – ad esempio se l’osservanza dei digiuni in determinati giorni dell’anno deve riguardare anche il malato o le donne incinte. Di fronte a questi casi, è necessario mettere insieme la competenza medica sul livello e la gravità della malattia, l’assunzione di medicinali con ingredienti proibiti, etc., misurandoli con la tradizione”.
In questo senso, le norme rabbiniche sono in divenire, si aggiornano, recepiscono le conclusioni cui giunge il tavolo dei decisori, anche sulla base della legislazione attuale. “Compito del rabbino – ha chiarito Di Segni – è quello di documentarsi anche dal punto di vista scientifico sulla gravità dei rischi e di proporre una soluzione, ma mai tranciante. Tutto va messo col condizionale e il paziente deve essere accompagnato nella decisione”.
Di Segni è stato membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, l’organo di consulenza della Presidenza del Consiglio formato da esperti di varie estrazioni (diritto, filosofia del diritto, storici, antropologi, medici), chiamati a produrre pareri. “Nel Comitato convivono tante competenze e tanti schieramenti diversi: quelli del disomogeneo mondo religioso cattolico e quelli del mondo laico, graduato per vari livelli di rigore. La posizione ebraica, in questo senso, è come il vaso di coccio che mediato: è un mondo religioso ma autonomo, non omologabile a quello cattolico”.
A chiudere la sessione mattutina è stato Gianfranco Di Segni, componente del Collegio Rabbinico Italiano di Roma e dell’Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia del CNR, che ha analizzato “la rilevanza dell’analisi del DNA nel diritto ebraico”. Di Segni ha evidenziato che “permangono molte perplessità, da parte dei rabbini, ad accettare la prova del DNA tout court, anche se gli scienziati sono di parere opposto. E credo che ciò derivi dal timore che l’ebraicità diventi un retaggio fatto di sangue, considerato a quali tragedie questo ha già portato. L’ebraicità è, invece, un fatto culturale, non solo e non tanto di sangue, tanto che si può diventare ebrei anche con la conversione. D’altra parte, se la prova del DNA può aiutare a risolvere certi dubbi, relativi ad esempio alla paternità o alla maternità, a identificare un corpo o a individuare il responsabile di un crimine, non si può non riconoscerlo come strumento utile”.
La sessione pomeridiana, moderata e presieduta da Rinaldo Bertolino (Emerito di Diritto Canonico e Diritto Ecclesiastico dell’Università di Torino), vedrà al tavolo dei relatori Silvio Ferrari (Università di Milano), Francesco Lucrezi (Università di Salerno), Roberto Mazzola (Università del Piemonte Orientale), Piero Stefani (Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale).
Daniela Modonesi
(9 novembre 2017)