Incontri dal basso
Un sondaggio pubblicato di recente dall’Israel Democracy Institute ha rivelato che il 58% degli ebrei israeliani sosterrebbero che “gli arabo-israeliani che non riconoscono Israele come patria ebraica dovrebbero perdere il loro diritto di voto”. Quello che per Haaretz è un’altra conferma dell’”intolleranza e della diffidenza ebraico-israeliana nei confronti degli arabi” non dovrebbe in fondo granché sconcertare. Se un sondaggio simile fosse proposto in Francia o in qualunque altro paese, dove la domanda sarebbe per esempio “ritenete che coloro che non riconoscono la Francia come patria dei francesi o la stessa costituzione o storia nazionale abbiano diritto di voto” probabilmente i risultati contrari sarebbero stati anche superiori, senza però l’indignazione di nessuno. Tablet Magazine metteva infatti proprio più in evidenza che il 67% degli arabo-israeliani “non considerano appunto Israele come patria degli ebrei”. Certo un dato che forse non lascia presagire un desiderio di accettazione da parte araba dello stato di Israele come tale, sebbene in totale contraddizione il 77% degli stessi “non ritenga che i due gruppi dovrebbero vivere separati” al contrario del 52% degli ebrei israeliani che credono ciò. Cifre analoghe testimoniano poi che gli arabo-israeliani non si sentirebbero considerati dagli ebrei parte integrante della società israeliana, e gli ebrei israeliani invece riterrebbero che sono invece gli arabi che non si percepiscono come tali. Stando a questi sondaggi sembra che al centro ci sia un problema più che di intolleranza, di incomunicabilità. Difatti lo stesso sondaggio mostra poi che oltre il 90% sia degli arabi che degli ebrei che lavorano insieme considera i rapporti tra i due gruppi ottimi. Leggendo il bel reportage di Wlodek Goldkorn sugli israeliani emigrati a Berlino e pubblicato sull’Espresso, riflettevo sul fatto che molti israeliani all’estero affermano che in molti paesi della diaspora rispetto ad Israele ci siano più possibilità di incontrare o di creare amicizie con arabi o musulmani. In realtà occasioni conoscitive e di scambio non mancano neppure in Israele, gli ebrei e gli arabi non vivono checché se ne dica segregati tra loro, sebbene ognuno si percepisca come gruppo fondamentalmente a se stante, ma incontrarsi in un luogo neutro e così simbolico come Berlino rievoca forse meglio una terra e un destino comune. Una pubblicazione del magazine Time Out Tel Aviv, per certi versi provocatoria, ha creato un numero speciale dal titolo Time Out Ramallah, con in foto la barriera di separazione della West Bank sormontata dalla frase “What happens behind this wall?”. Il contenuto, come scrive The Jewish Chronicle, non è certo tenero con le politiche israeliane – tralasciando che se fosse venuto meno il rischio di attentati suicidi quella barriera non sarebbe stata presumibilmente eretta – anche se si focalizza soprattutto sugli eventi e sulla scena giovanile oltre Gerusalemme. In futuro potrebbe darsi che Tel Aviv e Ramallah diventino meno distanti, nel frattempo oltre le speranze di una fine del conflitto decretata dall’esterno o dai futuri governi locali, bisognerebbe incoraggiare sempre più nuove opportunità d’incontro dal basso.
Francesco Moises Bassano
(10 novembre 2017)