I nodi della Memoria

Stefania Zezza MasterDa più di un decennio il Master internazionale in didattica della Shoah di Roma Tre forma e prepara docenti e professionisti nel campo educativo e della comunicazione a divulgare, spiegare, approfondire un tema che è di enorme complessità. I diplomati del Master hanno costituito negli anni e rappresentano oggi una risorsa significativa nel campo della ricerca e della educazione sulla Shoah in Italia e all’estero, sia per la loro preparazione tecnico-scientifica che per la serietà e la professionalità nel trattare un tema la cui conoscenza talvolta risulta approssimativa. Si tratta di studiosi che condividono la consapevolezza dell’esigenza di affrontare lo studio della Shoah nei suoi diversi specifici aspetti, nei suoi nodi fondamentali che implicano anche una riflessione sulle strategie di ricerca e di educazione. In questo modo essi hanno offerto il loro contributo in entrambi questi campi, con scritti, conferenze, lezioni nelle scuole dimostrando la necessità di trattare della Shoah in modo specialistico e didatticamente efficace.
Lo scorso 27 ottobre si è tenuta la sessione di diploma di due studenti del Master, insegnanti impegnati da anni nel campo della didattica della Shoah, che hanno concluso il loro percorso presentando due studi estremamente interessanti. La professoressa Francesca Rennis ha presentato una tesi dal titolo “Aspetti di didattica della Shoah”, in cui ha esaminato la formazione e lo sviluppo storico della didattica della Shoah, analizzando le questioni che di volta in volta, negli anni, si sono poste e che gli specialisti e i docenti hanno affrontato.
Nella discussione del suo lavoro con il relatore, professor David Meghnagi, direttore del Master, la professoressa Rennis ha spiegato di aver voluto riflettere sul significato pedagogico e metodologico della didattica della Shoah e “sulle potenzialità conoscitive che derivano dall’interconnessione tra didattica della Shoah e didattica della storia”.
La discussione della tesi del professor Luigi Saito, Sami Modiano e la sindrome del sopravvissuto, condotta con il relatore, Marcello Pezzetti, è stata particolarmente significativa proprio per la presenza in aula di Sami Modiano e di sua moglie, Selma.
Egli, deportato da Rodi ad Auschwitz Birkenau a tredici anni e unico sopravvissuto della sua famiglia ha dedicato gli ultimi 20 anni alla testimonianza nelle scuole e nei viaggi della memoria.
Il professor Saito è legato da un profondo affetto a Sami, del quale comprende e condivide, per personali esperienze di vita, il peso del trauma, lo sforzo e l’esigenza del riadattamento, l’amore per i giovani.
Sami e sua moglie Selma per lui “hanno rappresentato un punto di riferimento, hanno sostituito la figura genitoriale capovolta, l’anziano di cui il figlio deve prendersi cura. Io ho vissuto direttamente quelli che Sami stesso definisce sempre gli anni più belli della sua vita.”
Si tratta degli anni in cui Sami si è dedicato alla testimonianza della sua esperienza di deportato e sopravvissuto, che ha condiviso generosamente con gli studenti affrontando la memoria del suo passato.
Con il suo studio, il professor Saito si è proposto “di compiere un tentativo di recuperare dalla vita di Sami Modiano, i ricordi di ciò che egli ha vissuto, alla luce dei sentimenti che ha provato allora…. la storia dell’anima di un uomo che ha tentato infinite volte di uscire da Birkenau.”
È proprio sulla resilienza e sul percorso di Sami Modiano che il professor Saito ha focalizzato la sua attenzione, individuando nella sua vicenda biografica il percorso di ricomposizione di “alcuni traumi, anche se essi non sono stati mai completamente superati, a partire dai luoghi e dai momenti che hanno determinato l’interruzione del proprio continuum biografico”. Si tratta di quell’infranto, come lo definisce David Meghnagi, che ogni sopravvissuto ha dovuto prima poi tentare di ricomporre e il cui impatto devastante si è manifestato nella sindrome del sopravvissuto. Il professor Saito ha individuato i sintomi di questa in Sami e ha verificato come essa “coinvolga tutta la famiglia sia del salvato che del sommerso”. La presenza di Selma, cui è stato dedicato un capitolo della tesi, in questo senso è stata ed è fondamentale ed estremamente significativa. A lei, al suo sostegno tacito e discreto, sono state dedicate nel testo le parole di Gabriel Garcia Marquèz: “Se un giorno non avrai voglia di parlare con nessuno, chiamami: staremo in silenzio”.
In silenzio, mano nella mano, in prima fila, Sami e Selma hanno ascoltato la discussione della tesi. Hanno poi commentato e dialogato con i presenti, testimoniando con la loro presenza il legame tra storia, memoria, umanità che deve informare il nostro lavoro sulla Shoah.

Stefania Zezza, Università Roma Tre

(15 novembre 2017)