Rav Giuseppe Laras (1935-2017)
Grande dolore e cordoglio nel mondo ebraico italiano per la scomparsa a 82 anni di rav Giuseppe Laras, guida spirituale per intere generazioni di italiani. Laras, Presidente emerito dell’Assemblea Rabbinica Italiana e Presidente del Tribunale rabbinico del Centro Nord-Italia, ha lasciato con i suoi insegnamenti una impronta significativa nella realtà ebraica italiana contemporanea. Nato a Torino il 6 aprile 1935, il rav è stato una delle figure chiave per l’avvio del Dialogo tra ebraismo e cristianesimo nel dopoguerra, assieme al cardinale Carlo Maria Martini, a cui era legato da un’amicizia personale. “Durante la mia vita ho potuto vivere in prima persona il tramontare e il sorgere di mondi diversi, con inquietudini e speranze. La distruzione degli ebrei d’Europa ha sfiorato la mia esistenza, segnandola per sempre. Misteriosamente, grazie alla forza e al coraggio di mia madre, il Santo e Benedetto ha voluto che sopravvivessi agli orrori e alle ceneri della Shoah”, le parole del rav in un’ultimo testo pubblicato in queste ore dalla Comunità ebraica di Milano, di cui è stato rabbino capo dal 1980 al 2005. Docente emerito di Storia del Pensiero ebraico nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, Laras è stato autore di diversi e importanti saggi sul pensiero e la tradizione ebraica, tra cui La mistica ebraica (Jaca Book 2012); Onora il padre e la madre (Il Mulino 2010); Meglio in due che da soli. L’amore nel pensiero di Israele (Garzanti 2009).
“Volevo scrivere qualcosa che riassumesse il mio interesse dominante, lo svilupparsi, il divenire del pensiero ebraico nel corso dei secoli”, aveva spiegato in una delle sue ultime apparizioni in pubblico il rav, parlando di uno dei suoi ultimi lavori, i tre volumi Ricordati dei giorni del mondo, pubblicati da Edizioni Dehoniane Bologna. Un viaggio all’interno del pensiero ebraico, aveva spiegato rav Laras parlando dell’opera, in cui sono raccolte anche le sue esperienze personali e il suo rapporto con i propri maestri italiani e israeliani.
Studente del Collegio Rabbinico di Torino, ha conseguito il titolo di Maskil nel gennaio 1956 e la Semikhà con il titolo di Chakham al Collegio Rabbinico Italiano di Roma nel 1959. Nello stesso anno è diventato rabbino capo di Ancona, Comunità in cui rimarrà fino al 1968 (e in cui tornerà nel 2011) per poi guidare quella di Livorno e Milano. Proprio nel corso dei suoi anni milanesi, il rav instaura una salda amicizia con il cardinal Martini. “Se il dialogo ebraico-cristiano nel mondo è potuto esistere, svilupparsi e coinvolgere persone, nonostante le molte difficoltà, lo si deve soprattutto al cardinal Martini, alla sua determinazione, alla sua forza morale e alla sua fede”, il ricordo del rav dell’amico cardinale dopo la sua scomparsa. In una lettera inviata in occasione della visita invece al Tempio di via Guastalla, a Milano, del successore di Martini, il cardinale Angelo Scola, Laras ricordava l’importanza del Dialogo. “Spetta a tutti noi, cristiani ed ebrei, – affermava il rav – cogliere l’opportunità per fare della Bibbia il futuro, diverso eppur sinergico, delle nostre due Comunità di fede, ridando linfa alla civiltà occidentale. E spetta con urgenza estrema ancora a noi restituire alla Bibbia la sua voce reale, escatologica e divina, che non può essere in alcun modo ridotta a manuale laico per assistenzialismi, buonismi e pacifismi di sorta. Quest’ultima dilagante, perversa attitudine coincide con l’offesa della moralità e dell’intelligenza dei non credenti e con lo svilimento del ruolo e dell’identità del credente, che è anch’egli peccatore e per nulla esente da colpe o meschinità. La riduzione della Bibbia a sola etica mondana o a utopia è una forma né coraggiosa né onesta di ateismo”. “Se perderemo questo tempo difficilissimo e unico,- ammoniva – oziando, chiudendo gli occhi o dissimulando, andremo in perdizione e con noi andrà in perdizione il lascito sofferto dei nostri padri e il futuro dei nostri nipoti, cosa quest’ultima ancor più intollerabile. Forse sarà solo il vero dialogo ebraico-cristiano a poter salvare, se la Chiesa e gli ebrei ci crederanno e oseranno, il futuro dell’Europa e del mondo libero”.
Nel suo ultimo e citato testo, il rav si rivolge poi agli ebrei italiani e la comune sfida che gli attende. Dopo aver ricordato il risorgere della minaccia antisemita (spesso travestita dietro la maschera dell’antisionismo), Laras definisce un “nostro grave fallimento” l’alto livello “di polemica e di astio che percorre trasversalmente le nostre realtà comunitarie”. “S tratta di una tentazione che dobbiamo sentirci obbligati a vincere, perché i tempi non sono facili. Una delle mitzvòth più misteriose e difficili da comprendersi è quella dell’ahavàth Israel, dell’amore responsabile degli ebrei per gli altri ebrei e per l’intero popolo ebraico. Questa grandissima mitzvah deve essere riscoperta in tutta la sua forza, la sua eloquenza e la sua creatività da parte di noi ebrei italiani”. Per il rav, la mitzvah della Ahavath Israel “non consiste in alcun modo in un generale buonismo per cui, per amor di coesistenza, tutte le opinioni sono buone, in una prospettiva di ora in ora sempre più accomodante, specie in relazione all’osservanza religiosa”. “Dobbiamo invece declinarla, in relazione agli ebrei di Italia e di Eretz Israel, praticamente, concretamente. Molte nostre famiglie sono povere o in forte difficoltà, molte giovani coppie non hanno stipendi che permettano loro di progettare un futuro ebraico, molti singoli sono abbandonati a loro stessi, moltissimi sono ignoranti delle nozione basilari dell’ebraismo e si sentono respinti -a torto o a ragione- dalle nostre istituzioni, molte famiglie hanno problemi ben noti legati ai matrimoni misti, moltissimi giovani emigrano all’estero perché qui non c’è lavoro. È urgente che si ribalti la rappresentatività e l’auto-coscienza istituzionale dell’ebraismo italiano su questi temi, invece che continuare a essere vittime di malumori tra potentati familiari, pruderie di circoli intellettuali avulsi dal reale e insofferenti rispetto a molti drammi e paure della nostra gente, vanità di alcuni pronti a compiacere per essere compiaciuti. Abbiamo tutti imparato a nostre spese che una concezione intellettualistica dell’ebraismo, dal religioso al culturale e al politico, porta all’invecchiamento e al deteriorarsi delle nostre realtà comunitarie. La sfida è enorme e, che ci piaccia o meno, saremo obbligati a raccoglierla: prego chi ha ruoli di responsabilità di non tardare e di avere coraggio, anche se si sente non all’altezza della situazione o da quest’ultima oppresso. Sono certo che l’ebraismo italiano, con tenacia, saprà tener testa a queste difficoltà”. Questo il messaggio del rav a tutto il mondo ebraico italiano. Che il suo ricordo sia di benedizione. Baruch Dayan ha Emet.