La Shoah e le storie di salvezza,
a confronto con i ragazzi
Contesto storico, discussioni storiografiche, singole storie di singoli individui, testimonianze dirette, tutto ciò si è riccamente intrecciato all’Università di Roma Tor Vergata in occasione della presentazione del libro di Liliana Picciotto Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah, 1943-1945, Giulio Einaudi editore. Nell’introdurre la mattinata, in un’aula gremita di studenti, Lucia Ceci, direttrice del Centro Romano di studi sull’Ebraismo, promotore dell’evento insieme al Diploma Universitario triennale in Studi Ebraici dell’UCEI e alla Fondazione CDEC, ha ringraziato l’autrice per aver offerto uno studio di così grande importanza, che unisce alle voci di chi riuscì a scampare alla deportazione, meditati e attenti capitoli di indagine storica e di messa a punto di studi sin qui compiuti. Il lettore del libro, ha detto Ceci, viene istintivamente portato a interrogarsi su che cosa avrebbe fatto egli, in prima persona, in quella situazione. Testimonianze dalla parte di chi ha “salvato” si sono avute sin dai saluti introduttivi del prorettore dell’Università, Claudio Franchini, il cui nonno durante la guerra aveva nascosto una personalità dell’ebraismo italiano a molti nota, Fernando Terracina. Anche la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello è intervenuta sulla sua storia familiare, rivolgendosi poi ai numerosi giovani presenti affinché condividano e si facciano essi stessi carico delle preoccupazioni comuni all’ebraismo (e non solo) dinanzi a un imminente futuro in cui non vi saranno più testimoni viventi.
Il primo oratore Amedeo Osti Guerrazzi ha sottolineato il clima di indifferenza generale nel quale si è svolta la deportazione e la Shoah e ha ricordato come la rete di traditori attorno ai nazisti fosse stata ampia e quanto fossero state frequenti le delazioni. Una nave che al porto sarebbe stata in procinto di offrire la salvezza si rivelava poi essere un’insidiosa trappola; così il pedinamento dei familiari di un detenuto nelle carceri rappresentava una frequente tattica di adescamento. Al contrario, Osti Guerrazzi ha riferito di un semplice gesto che ha impedito alla popolazione abitante nella zona di Monteverde di confluire verso il Portico d’Ottavia dove, a loro insaputa, i nazisti stavano perpetrando la tragica retata. Con un semplice gesto, almeno tre individui sono divenuti dei “salvatori”. Il messaggio etico, per le giovani generazioni che lo ascoltavano, è stato molto incisivo: un invito a riflettere su quanto l’azione del singolo possa essere importante e gravida di conseguenze.
Leggere Salvarsi nel solco del Libro della Memoria è stato l’invito formulato da Mario Toscano nel suo altrettanto ricco intervento, che ha invitato a declinare al plurale le analisi e le situazioni di quell’epoca. Così, l’ospitalità offerta dalle singole istituzioni ecclesiastiche non va confusa con il ruolo e l’atteggiamento che la Chiesa ha tenuto in quegli anni. Nell’interrogarsi poi su “chi sapeva e chi non sapeva” e sui diversi tempi di una presa di coscienza, ha ricordato la scarsa e rara informazione sulla deportazione degli ebrei trasmessa da Radio Londra, invitando a riflettere problematicamente se la causa potesse essere individuata nell’indifferenza, un’ indifferenza che seppur in modalità diverse avrebbe forse anche coinvolto il complesso atteggiamento della Resistenza. E la riflessione sull’isolamento ebraico andrebbe proseguita analizzando le politiche adottate nel dopoguerra a riguardo dei furti e delle ruberie subite dai perseguitati.
Nel concludere l’incontro Liliana Picciotto ha illustrato agli studenti le dure condizioni in cui vivevano gli ebrei nascosti e i loro bambini, i quali soffrivano particolarmente in spazi chiusi e angusti, istruiti sul loro “nuovo nome”, e timorosi di rivelare la loro vera identità. E, sempre a questo proposito, la Picciotto ha proposto di considerare come piccoli-grandi eroi dell’epoca gli impiegati comunali che si prestarono a falsificare i documenti d’identità, stratagemma in molti casi rivelatosi decisivo per la salvezza. Un concetto “forte” proposto dalla storica è stato che non si dovrebbe tanto insistere sull’eccezionalità dell’operato dei “giusti”: chi ha prestato il suo soccorso agli ebrei perseguitati ha obbedito a una sollecitazione di carattere etico che sola consente all’individuo di esprimere appieno la sua umanità.
Molto sentita è stata infine una voce che si è levata dal pubblico, quella di Carlo Di Castro, che ha testimoniato personalmente, ricordando la sua infanzia, che cosa significhi essere un bambino nascosto, spaventato e non più chiamato con il suo vero nome.
Myriam Silvera, Università di Tor Vergata, Diploma Universitario UCEI
(22 novembre 2017)